Il 9 maggio 1967, a 44 anni, il chirurgo italo-argentino René Geronimo Favaloro cambiò la storia della medicina moderna. A Cleveland sul tavolo operatorio c’era un 57enne con un’arteria coronarica occlusa e solo il 20% di possibilità di farcela. Condizioni disperate che permisero al chirurgo con i nonni originari di Salina di effettuare il primo bypass aorto-coronarico, entrando nella storia. L’idea – semplice quanto geniale – fu quella di prelevare un tratto di vena safena dalla gamba, utilizzandola per aggirare l’occlusione, scavalcando il blocco coronarico e aggirando l’ostacolo. «Diciamolo chiaramente, il metodo Favaloro è stato un crocevia della medicina, e dal 1967 ad oggi sono stati effettuati più 40 milioni di bypass nel mondo», afferma il giornalista Luca Serafini. Favaloro è stato un precursore, «premiato in tutto il mondo tranne che in Italia, misconosciuto nonostante i suoi evidenti meriti». Ecco l’importanza della sua biografia romanzata “Il cuore di un uomo” (Rizzoli) firmata proprio da Serafini, un’opera già vincitrice del Premio Zanibelli, da poco uscita in libreria. Uomo pratico, austero ma sognatore, Favaloro nacque in Argentina, a La Plata, il 12 luglio 1923. Studiò medicina e per undici anni, dopo la laurea, venne mandato a fare il medico di campagna, «il médico rural, in un paesino della Pampa dove non c’era praticamente nulla», avendo l’intuizione di ascoltare i pazienti e approfondire il campo della chirurgia toracica e cardiovascolare, ancora poco sviluppata in quegli anni. Luca Serafini racconta il medico e riscopre soprattutto l’uomo, raccontando il suo doloroso rientro in patria, scontrandosi con il regime di Videla. Nel 1999 ottenne la cittadinanza onoraria congiunta dei comuni di Malfa, Leni e Santa Maria di Salina, diede vita alla Favaloro Foundation ma, schiacciato dai debiti, il 29 luglio 2000 si suicidò. «Questo libro è la testimonianza di un grande uomo di scienza, un cittadino del mondo innamorato delle sue origini italiane. Ancora oggi dobbiamo ricordare le sue posizioni favorevoli alla libertà di scelta delle donne sull’aborto – racconta Serafini che terrà la prima presentazione nazionale proprio a Salina, sabato 26 marzo – testimonianza di una mentalità innovatrice, sempre attenta alle esigenze dei suoi pazienti». Serafini, perché ha raccontato la storia di René Favaloro? «Il libro nasce grazie al compianto Cesare Cadeo, che mi presentò al professor Cesare Beghi, allievo del professor Favaloro. Non sapevo nulla della sua storia. Appena tornato a casa mi misi davanti al computer e sono rimasto senza parole. Sono andato in Argentina per conoscere i suoi nipoti e la sua compagna, ho tradotto quattro libri scritti da lui e infine, durante la pandemia, ho iniziato a scrivere questo libro. Mi è sembrato un omaggio doveroso». Perché? «Mi sono innamorato di Favaloro, della sua forza, dei suoi valori. In Argentina ha dovuto combattere contro la dittatura e ancora oggi è venerato dalla gente comune, alla stregua di Padre Pio in Italia. È una vera icona, tanto che il 27 luglio, la sua data di nascita, è diventata la giornata nazionale della medicina in Argentina». Ebbe una luminosa carriera, ottenne titoli e onori da tutto il mondo, eccetto che dall’Italia. Perché? «Facciamo molta fatica a riconoscere i meriti dei nostri connazionali, in questo Italia e Argentina si somigliano drammaticamente. Quando prese la cittadinanza a Salina, un anno prima di morire, aveva circa 200 cattedre onorarie in giro per il mondo e una menzione per il Nobel. In fondo, avrebbe solo desiderato che l’Italia, il paese dei suoi nonni, ne riconoscesse i meriti. Ma lo sappiamo, noi siamo un Paese strano...». Favaloro fu apprezzato anche per le sue posizioni favorevoli alla libertà di scelta delle donne sull’aborto. «La forza della storia di Favaloro è proprio il suo legame con l’Argentina, un paese da 130 anni in default finanziario, in cui la povertà è endemica e si succedono le dittature. Favaloro era cattolico ma il contesto chiarisce l’importanza di un’educazione sanitaria necessaria perché il tema dell’aborto era ed è tuttora una questione politica e sociale, lo specchio di un Paese che contrastò la libertà di pensiero di un luminare mondiale, René Favaloro». Lei riporta numerose citazioni di Favaloro, la più celebre recita: «Conoscere l’anima del paziente per poter curare il suo corpo». Era l’essenza del suo pensiero? «Assolutamente. Per lui la cura del paziente era una missione, non una pratica medica. Per tutta la sua carriera, Favaloro andava a trovare i pazienti, anche quelli in cura da altri luminari, convinto che l’empatia fosse necessaria alla guarigione, ascoltando e spiegando passo passo le cure utili, occupandosi tanto del corpo che del lato emotivo della malattia. Era un innovatore».