Il consenso, rimando esterno indispensabile per l’autostima, è il primo motore dell’intenzionalità individuale verso progetti di autoaffermazione. Approdo del pensiero ingenuo della prima infanzia, che trova in ricompense e punizioni il rinforzo positivo o negativo ai comportamenti, il consenso, una volta interiorizzato, viene percepito come un’interna soddisfazione conseguente al raggiungimento di un risultato desiderabile secondo gli obiettivi che la società propone al soggetto. In virtù di ciò è strettamente collegato al «socialmente desiderabile»; ma anche al «soggettivamente desiderabile», se l’individuo si uniforma alle richieste esterne in piena condivisione, ricevendone in cambio prestigio e avanzamento di status. Nell’ambito di un tale processo dialettico tra individuo e società, particolare significato acquistano i termini della «competizione» e del «confronto», spesso matematicamente determinati, che, in misure e percentuali, sanciscono quanto il risultato sociale di un individuo possa dirsi minore, uguale o maggiore rispetto a quello di un altro. Ne vien fuori un processo di quantificazione delle abilità individuali che, sebbene tragga le prime origini dal normale rapporto educativo di tipo genitoriale, imperniato sulla dialettica premio/punizione, finisce per assumere nelle varie società e contesti significati specifici, in linea con le aspettative che vengono rivolte al soggetto in relazione alla storia e alle tradizioni del Paese in cui vive, all’etnia, alla famiglia d’origine. Così psicologia evolutiva e psicologia sociale si integrano e si completano vicendevolmente, dando forma alla branca più illustre della “psicologia della cultura”, come studio del valore sociale dell’individuo in rapporto ai modelli culturali vigenti nel suo contesto di vita; modelli che forgiano e costantemente modificano la struttura della mente. Per spiegare il vissuto corrispondente al tipo di «ricompensa», comunemente definita «premio», la psicologia culturale ha fatto ricorso al concetto di «cultura del confronto», che specifica tanto la proficua dialettica tra società differenti in vista di un arricchimento reciproco, quanto la sana competizione tra un individuo e un altro nell’ottenimento del consenso sociale e del premio che ne è simbolo. L’individuazione delle “eccellenze” in ogni ambito culturale viene così riferita al duplice livello del confronto, individuale e sociale, sancendo la maggiore incidenza dell’operato di un soggetto rispetto a quello di un altro; ma anche di un prodotto o una struttura che raggiungono il massimo livello di conformità alle richieste di progresso socialmente determinate. L’istituzione di Premi finalizzati al riconoscimento del merito attraverso i secoli, a cominciare dal prestigioso Nobel, risponde così all’obiettivo di attribuire uno “status” di spicco a coloro che operano per il bene comune, ottenendo risultati perfettamente conformi alle esigenze di progresso di una società, con ripercussioni positive anche in altre territorialmente distanti. Il premio istituzionalizzato si configura quindi come ultimo anello di una catena di riconoscimenti e rinforzi positivi o negativi, che, a partire dall’infanzia, plasmano la mente dell’individuo collegando la sua azione al «socialmente desiderabile». Tuttavia, anche nel giudizio di valore e nella distribuzione sociale di attestati e riconoscimenti, possono subentrare variabili che snaturano il significato intrinseco del premio, deviandone le motivazioni di base. Pensiamo ai casi di competizione sleale, a premi strutturati su un’analisi incompleta, imparziale o incongrua del merito, o, ancora, a quelle situazioni di tipo autocelebrativo che, eliminando l’altro termine del confronto, si limitano alla citazione dell’operato di un solo individuo. Qualsiasi premio, invece, come risultato di una «cultura del confronto», non può prescindere dal considerare almeno due agenti in reciproca dialettica, impegnati singolarmente nell’ottenimento di risultati individualmente e socialmente significativi. Il pullulare spasmodico di riconoscimenti di ogni tipo dimostra oggi, al contrario, come talvolta il significato autentico del premio venga svilito da forme ibride di consenso che nulla hanno a che fare con il giudizio libero e motivato sull’operato di eccellenza che ogni premio dovrebbe simbolicamente rappresentare.