Lunedì 23 Dicembre 2024

Firenze omaggia Pirandello. Il regista Mota: "Costruire una nuova alleanza dei teatri"

Marco Giorgetti ed Emmanuel Demarcy-Mota

Costruire una nuova alleanza dei teatri europei, un ponte che colleghi questo secolo con il passato e riattivi l’alterità, la relazione. Il teatro del futuro è un luogo che vogliamo vivere. Questo l’impegno di Emmanuel Demarcy-Mota, regista di talento, direttore del Théâtre de la Ville di Parigi, in partenariato con lo storico Teatro della Pergola di Firenze, dove ha messo in scena, da giovedì a oggi (uniche date italiane), assieme alla sua magnifica équipe, “Ionesco Suite” tratto da Eugène Ionesco e “Sei personaggi in cerca d’autore”, di Luigi Pirandello. E nella casa della Pergola, cuore del Teatro Nazionale della Toscana, aperta a tutti e adesso, in concreto – come ricorda Marco Giorgetti, direttore della Fondazione – pure agli artisti ucraini profughi di guerra, è con emozione che Demarcy-Mota (figlio d’arte, di madre portoghese, andata via dal suo Paese per sottrarsi alla dittatura di Salazar) racconta il suo teatro della libertà, della poesia, della collaborazione democratica. Insiste sull’alleanza dei teatri non solo delle nazioni ma del mondo, proprio ora che una parte della Francia, con l’avanzata della destra – dice – si sta ripiegando su se stessa, ora che la comunicazione tra gli umani recita quell’impossibilità e quell’assurdità delle opere di Ionesco e Pirandello. «Questa pandemia ha colpito tutti i teatri del mondo, ma bisogna chiedersi cosa significa la chiusura del teatro, un luogo in cui si esercita il pensiero, l’emozione, la parola, l’immaginazione, la libertà. Cosa sarebbe la nostra comunità umana – ha detto – senza l’eternità dei personaggi? Senza Amleto, senza Antigone? Il grande errore del lockdown è stato rendere muti i personaggi, ed è stato molto più grave che Amleto non potesse dire “to be or not to be”, perché abbiamo bisogno di personaggi che mettano in discussione la mediocrità della nostra esistenza». Nella città di Dante, in quel teatro della memoria in cui nomina sunt consequentia rerum, i nomi sono conseguenti alle cose, e dove Demarcy-Mota sarà ancora il 7 maggio per incontri e dibattiti sul tema “Costruire il Teatro del XXI secolo”, le sue parole sono proiettili lanciati nel futuro, da consegnare ai giovani con le sfide urgenti della difesa dell’ambiente, della salute, dei diritti umani, della pace, della libertà. Perciò, contemporaneamente al suo costante lavoro per il teatro, il regista non si è mai fermato: durante la pandemia ha ideato le “Consultazioni poetiche, musicali e di danza”, momenti di scambio individuale con un artista (in presenza o per telefono), una sperimentazione lanciata dal Théâtre de la Ville nel 2020 per dare conforto nell’angoscia dell’isolamento e che continua a collegare artisti e istituzioni culturali in Europa e nel mondo. E poi la Carta 18XXI (18 e 21 indicano l’età in cui gli individui, a seconda del Paese, diventano maggiorenni e ottengono il diritto di voto), un appello all’immaginazione di tutti, artisti, scienziati, medici, filosofi, ricercatori, docenti, per «trasmettere e dare voce alle voci di oggi e ai cittadini di domani, per riunire e difendere un’Europa solidale delle arti e della cultura». Ma XXI indica pure questo nuovo secolo per il quale la speranza di un impegno collettivo deve tradursi in un nuovo umanesimo. Per il lavoro del Théâtre de la Ville di costruire un teatro in movimento che promuova l’incontro tra e con le lingue, a Demarcy-Mota e alla sua troupe è stata consegnata da Marco Giorgetti la Chiave d’oro del Primo Camerino della Pergola (quello che fu di Eleonora Duse), onorificenza toccata a pochi grandi, tra i quali Zeffirelli. Demarcy-Mota fa recitare i suoi attori in francese, così che si possa coltivare l’ascolto e seguire con l’occhio la traduzione nei sottotitoli e il linguaggio del corpo, un impegno bilaterale che richiede il coinvolgimento fisico di attori e spettatori, fondamentale in Ionesco e Pirandello e nella stessa ricerca del regista francese. Con “Ionesco Suite”, collage tratto da “Jacques, ovvero la sottomissione”, “Delirio a due”, “La cantatrice calva”, “La lezione”, “Exercises of conversation” e “French diction”, Demarcy-Motaha lavorato «sull’angoscia dell’essere umano che induce pure al riso perché la nostra vita è cronometrabile e finita. Bisogna accettare l’idea della finitezza e comunque continuare ad avere la capacità di ridere». I sette attori che parlano con una catapulta di colpi linguistici (pari alla forte gestualità) ma non comunicano, tra non-sense, luoghi comuni usurati e giochi allitteranti e onomatopeici del teatro dell’assurdo di Ionesco, sono gli stessi dal 2005, in giro per il mondo, cresciuti con Demarcy-Mota che da allora lavora sul loro “invecchiamento”. «Dicono sempre che il teatro sia l’arte dell’effimero – dice il regista – ma per me è l’arte della durata della vita nel rapporto tra tempo e corpo. Quando si lavora sul corpo e sulla coscienza, si lavora su quel che c’è stato prima. Si lavora sul reale che esiste di per sé mentre la realtà è un prodotto della nostra immaginazione, della percezione frammentata delle cose tutte». Superba, poi, la messa in scena dei Six personnages en quête d’auteur (traduzione e adattamento di François Regnaul), un omaggio a Pirandello, con la riflessione sul rapporto finzione-realtà, a interrogarci sulle nostre storie di “personaggi”, un insieme di tragico e comico nel gioco delle parti e degli enigmi. Il dramma è in noi, è tutto qui, come diceva il Maestro, e vederlo rappresentato a teatro, migliaia di volte, mentre uomini e cose passano, è «come vedersi dentro uno specchio che ci agghiaccia con la nostra espressione».

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