Martedì 24 Dicembre 2024

La foto del giorno: quelle statue “giustiziate”

I simboli hanno lo stesso destino delle persone e dei Paesi, durante la guerra: vengono condannati a morte, vengono uccisi, anzi giustiziati. E sì, lo sappiamo tutti che è una cosa orribile, che quando decapiti una statua, copri un affresco, cancelli il nome d’una strada stai muovendoti contro la Storia, stai facendo tutto il contrario di quello che riteniamo la parte bella e meritoria dell'essere umani: produrre simboli e linguaggio. Ma forse davanti alle immagini (di Laurence Figà-Talamanca) della distruzione volontaria (una distruzione tra le distruzioni: un paradosso, oggi, tra le città ucraine polverizzate dalle bombe) dell’Arco dell’amicizia tra Russia e Ucraina, monumento di 8 metri che dal 1982 celebrava nel centro di Kiev i “fratelli”, un lavoratore russo e uno ucraino che insieme sorreggevano la stella dell’Ordine sovietico dell’amicizia dei popoli, forse oggi è pretendere troppo, chiedere che non siano “giustiziati” i simboli che raffigurano l'ex fratello divenuto proditoriamente nemico. Un nemico che nello stesso momento in cui la sua testa di ferro (il suo corpo simbolico) cade sta terrorizzando o giustiziando civili inermi, sta riducendo in polvere città e contrade, sta stuprando le donne "nemiche" come estremo sfregio e violazione. I simboli sono carne viva, in qualche modo, e abbatterli è proseguire il combattimento con altri mezzi. “Giustiziare” quella statua (ma pare sarà solo la prima d’una lunga serie: il sindaco Vitaly Klitschko annuncia altre “cancellazioni” di monumenti, almeno 60, e di nomi di vie, circa 460) che celebra una fratellanza a cui è stata posta fine unilateralmente è disconoscere quella fratellanza, dichiararsi nemici pure retroattivamente. Perché la guerra è una cosa che, per sua natura, si allunga e si allarga nel tempo, nello spazio, nelle dimensioni. Perseguendo la sua unica, piatta, mortale dimensione: la cancellazione dell'umano. Ecco perché non ci sono vincitori ma solo umanità sconfitte, ecco perché non dobbiamo permetterla, mai.

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