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Lo scrittore siciliano Salvatore Vitellino: Evviva i “nabbi”, abbasso i bulli!

Storia del timido Tomà, escluso e preso di mira a scuola ma che smette di avere paura

«Chi è il nabbo? Una schiappa, un pivello, qualcuno incapace di dare del filo da torcere ai suoi avversari ai videogame». Il nabbo in questione è Tomà, un ragazzino all’ultimo anno delle elementari, prossimo al crocevia delle medie, timido ed introverso, preso di mira dai bulli della scuola in cerca di una vittima facile. Come se non bastasse, Tomà non ha più il padre e non riesce a star dietro ai suoi compagni giocando a Fortnite, anche perché non possiede la console ed è costretto a giocare su un vecchio pc. Ma l’arrivo in classe di Elena potrebbe cambiare gli equilibri e magari, Tomà potrebbe smetterla di inseguire uno standard che non gli appartiene, tirando fuori ciò che lo rende unico. La sua storia è al centro di “Un anno da nabbo. Credi in ciò che sei e difendilo a ogni costo”, il romanzo di Salvatore Vitellino (Giunti, pp.224 €14), un viaggio di formazione per ispirare i ragazzi – e i loro genitori – a mettere da parte il timore del giudizio altrui, diventando semplicemente se stessi.

Vitellino, originario di Paternò ma milanese da anni, per Smemoranda si è occupato del tema del bullismo ed esordisce nel mondo dell’editoria per ragazzi con un testo senza smancerie, un vero inno alla vita, tutto da leggere per sconfiggere il bullismo. Ne abbiamo parlato con lui.
Prima di questo libro, lei ha scritto cinque libri a quattro mani, raccontando biografie di personaggi noti. Da “Ne vale sempre la pena” con Momcilio Jankovich (Baldini, 2018) a “Il mio amico Nepal” con Andrea Scherini (HarperCollins, 2019) sino a “Insegna al cuore a vedere” con Daniele Cassioli (DeAgostini, 2022).

Ricominciare con un libro per giovani lettori è stato arduo?
«Assolutamente. È stato difficile trovare il tono giusto per parlare ai bambini di 10/13 anni ma Giunti c’ha fortemente creduto. Un lavoro molto affascinante perché volevo esprimere concetti senza svilirli e dovevo farlo in modo semplice, adatto a tutti. Un giro di parole elementare e termini agevoli, senza scivolare nelle banalità. Ecco la sfida vinta».

Chi è il nabbo?
«Nel gergo universale, il nabbo è colui che non sa giocare ai videogiochi, da nord a sud. L’essere scarso ai videogame può derivare da tanti motivi, e morale della favola, finisci per passare per lo sfigato della classe. Il risultato sono nove capitoli per i nove mesi dell’anno scolastico, un modo per rivolgersi direttamente ai ragazzi. Un esempio su tutti? Il semplice fatto di non avere la Playstation esclude il protagonista, e ciò lo spinge ad una serie di riflessioni, a caccia di metafore esistenziali che ruotano attorno al comportamento online sul videogame Fortnite, lì dove si scontrano tutti i suoi “amici”».

Fortnite diventa un crocevia per il nabbo. Era l’idea originaria?
«È arrivata scrivendo. Questo libro ha avuto una gestione lunga ma sei anni fa non intendevo scrivere un romanzo, piuttosto delle favolette per ragazzi. Però non conoscendo il mondo dei libri per ragazzi, avevo ottenuto solo rifiuti; finché, un anno e mezzo fa, ho cambiato il target, rifacendomi alla vita di mio figlio alle elementari, alla raccolta di storie vere di padri fuori dalla norma e alla scoperta del calistenics, una serie di discipline sportive affini alla ginnastica, un mondo d’aggregazione, lavorando su nuovi schemi, lontani dal bullismo. E ancora, sarà Elena a fargli intendere Fortnite non più come un’arena di scontri violenti e frustranti ma come un luogo di creazione in totale libertà virtuale. Da qui nascerà il primo germoglio di un sentimento di affetto».

Parlare di bullismo, da genitore, è stata una sfida?
«L’avevo già fatto per Smemoranda curando il blog Sbullizzati, facendo da megafono per il pensiero altrui ma non mi ero esposto in prima persona. Invece, in queste pagine, ho parlato del bullismo economico».

Ovvero?
«Anziché utilizzare la violenza fisica, un ragazzo può essere escluso e messo da parte perché considerato inferiore a livello economico rispetto ai coetanei, subendo una dura umiliazione. A dieci anni senti solo il dolore dell’esclusione dalle feste, il mancato invito alla settimana bianca o alla pizzata di gruppo, e andando in cerca di risposte, si finisce per prendersi la colpa o attribuirla alla famiglia».

Come se ne esce?
«Tomà è circondato da figure femminili che lo aiutano, un cordone di sicurezza che porterà i suoi frutti, spezzando il circolo vizioso del silenzio».

La più grande soddisfazione?
«I feedback che sto ottenendo durante gli incontri nelle scuole. Ho scelto di puntare sull’alleanza fra la mamma e la maestra per sconfiggere l’insicurezza di Tomà e quando entro nelle classi gli insegnanti mi dicono che ho toccato un tasto importante, parlando del valore della scuola e dell’importanza di non avere paura dei bulli, senza fare la morale a nessuno».

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