La storia di un grande amore tra faldoni di processi, scorte e auto blindate in una Sicilia martoriata dalla mafia, con il focus su una donna, Francesca Morvillo, che ha scelto di stare accanto al suo uomo sino alla tragica fine, certamente, ma che, al suo fianco, è stata una presenza importante proprio per la “guerra” che lui e lo Stato (ma non tutti i suoi servitori) stavano combattendo. L’ultimo appuntamento con gli autori della rassegna messinese “Alemanna. Storie di Cultura”, promossa da Progetto Suono in collaborazione con La Feltrinelli Point, ha ospitato un animato dialogo attorno al romanzo “Francesca. Storia di un amore in tempo di guerra” (Solferino) del giornalista e scrittore siciliano Felice Cavallaro, storica firma del “Corriere della Sera”.
All’evento, moderato dalla giornalista della Gazzetta Anna Mallamo, sono intervenuti l’ex magistrato, politico e scrittore Giuseppe Ayala e l’avvocato messinese, ex presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone. Cavallaro, nel raccontare gli anni bui in cui l’operato del giudice Giovanni Falcone ha cambiato la storia della Sicilia e della lotta alla mafia, rende giustizia ad una figura femminile che – come ha sottolineato in apertura Mallamo – è stata spesso appiattita nella figura di vittima d’una tragedia indelebile come la Strage di Capaci e non ricordata per la sua statura, il suo valore, il suo operato di magistrato (fu una delle prime donne in Italia a vincere il concorso, aveva una cultura giuridica vasta e raffinata, e idee innovative sull’importanza della lotta alla mafia a partire dai più giovani, come dimostra anche la sua esperienza di doposcuola ai figli dei detenuti dell’Ucciardone), alleata e collaboratrice di Falcone nel lavoro e nella vita.
Francesca è «baricentro e filtro di tutti gli eventi narrati, con dovizia di particolari ma con emozione e discrezione», nel romanzo. La sua storia si intreccia con quella di personaggi realmente esistiti e che hanno ispirato la trama, come il giornalista Federico, che richiama allo stesso autore, e altri che hanno sostenuto e conosciuto personalmente la coppia. Un romanzo, come ha spiegato Cavallaro, «pensato per informare i più giovani, ma anche per stimolare il ricordo degli adulti che hanno rimosso quei tragici eventi, convivendo con un grave lutto della nostra storia contemporanea».
«C’è una grande platea di giovani – ha detto Cavallaro – che ho voluto staccare dal mondo social per raccontar loro quel pezzo di storia comune, soffocato da una piovra che eliminava le nostre libertà. Costruire una storia d’amore per conquistarli mi è sembrata l’idea più convincente. Spero si possa arrivare a loro, attraverso questa storia. Pagina dopo pagina dalla vicenda privata si passa a quella pubblica, che soffoca e impedisce la realizzazione di quella felicità auspicata e mai raggiunta». Una felicità interrotta di continuo dagli assassini, dalle morti di Boris Giuliano, Pio La Torre, Rocco Chinnici e tutti gli altri, dal pericolo costante che ha accompagnato la vita di Francesca Morvillo e Giovanni Falcone, che non era solo quello del potere mafioso, ma veniva anche dal “fuoco amico”, da dentro i Palazzi delle istituzioni, dalla parte più sorda della società civile.
Un senso d’oppressione che va crescendo e si respira costantemente nelle pagine del volume – con il momento più sereno, paradossalmente, proprio in quell’estate dell’esilio forzato all’Asinara – dove, come sottolineato dalla Mallamo, al dispiegarsi del sentimento corrisponde un chiudersi del mondo sopra una coppia fortunata per essersi incontrata ma sfortunata per averlo fatto «in tempo di guerra».
Relatore d’eccezione dell’incontro Giuseppe Ayala, amico personale della coppia e collaboratore di Falcone (e anche scampato per un soffio a Capaci: quel giorno doveva esserci anche lui, sull’aereo giunto da Roma), che ha ricordato – con il suo stile ironico ed “esplosivo”, il suo modo di affastellare aneddoti, raccontare dettagli, battute, caratteri, che molto ha coinvolto gli spettatori – il legame e la profonda riservatezza della coppia. «Un pomeriggio Giovanni mi invita casa sua e aprendo la porta mi dice: “puoi baciare la mano alla signora Falcone”. Si erano sposati e non lo sapeva nessuno... Falcone era come Sciascia, un innovatore che vedeva oltre l’orizzonte comune, e Francesca non era da meno: intelligente e pacata, ottima ascoltatrice cui bastavano poche parole, naturalmente elegante e priva di esibizionismi».
Una figura esaltata anche da Ardizzone, che con emozione ha sottolineato l’importanza del «fare memoria» come rito civile imprescindibile. Memoria dei fatti, memoria di chi, come la Morvillo, è stata vittima di mafia: «Sciascia diceva che questa terra è redimibile ma dobbiamo far finta che non lo sia. Dalle pagine di Cavallaro mi sono fatto l’idea che la Morvillo fosse il componente aggiunto del pool antimafia, coi suoi consigli e il suo lavoro prezioso, quando il marito scriveva a casa atti e provvedimenti, ma – ha ricordato severo – la città di Palermo non era così affezionata e complice del pool e del formidabile lavoro di questi magistrati».
Gli interventi sono stati alternati alle letture di Alessia Di Fiore e Alessio Pettinato. Alla Morvillo è stata dedicata una via a Messina, nel quartiere Annunziata, dalle parti di Via Del Fante. Ma sarebbe ora che questa importante intitolazione venisse maggiormente valorizzata: il «fare memoria» passa anche da qui, ed è nostro dovere.
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