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Il mistero (romano) del venditore di rose

L'autore Dario Sardelli

È Roma la vera protagonista di “Il venditore di rose” (Einaudi), romanzo d’esordio di Dario Sardelli, sceneggiatore e autore televisivo che è nato in Puglia ma a Roma ci vive. Un giallo sociale, ambientato nel popoloso quartiere di Tor Pignattara dove il vicequestore Piersanti Spina dirige il commissariato.
Mite ma determinato, con la passione per le sigarette ayurvediche e i fumetti con i suoi idoli Dylan Dog e Martin Mystere, Spina soffre sin da bambino di una patologia che non gli fa sentire il freddo, il caldo, il dolore e nemmeno le ferite. Ha, per ironia della sorte, una fidanzata anestesista, Patrizia, dopo aver vissuto una burrascosa ed esaltante storia con la bellissima giornalista televisiva Anna Tarantini.
Ogni volta che attraversa quello che viene chiamato “il Pratone”, vicino all’acquedotto che porta il nome di Alessandro Severo, come quando si ritrova davanti al cadavere martoriato di un giovane bengalese venditore di rose, non manca di meravigliarsi come la bellezza millenaria dell’architettura imperiale conviva con il degrado del luogo, divenuto ricettacolo di pattume. Borgatari e piccoli criminali, spacciatori di yaba e di eroina, negozi pakistani, bangla e cinesi, due templi indù, due moschee, bische e biscazzieri, palazzine popolari e baracche condonate per grazia ricevuta, clochard, ragazzi della Roma bene che in quel quartiere, di sera, vanno per affari di ogni tipo, un brulicare di umanità tra cibi, odori e afrori ai quali fa da contrasto il magnifico mausoleo di Sant’Elena, l’unica presenza elegante in quel quartiere in cui sembra starvi per errore.
Ma chi ha ucciso, la notte di San Valentino, Rubel Roy, che appartiene a una famiglia benestante e colta del Bangladesh, due esami alla laurea a Londra, venuto in Italia con un contratto regolare nella industria conserviera di un tal «benefattore» che accoglie tanta manodopera bengalese? E come mai, se aveva un lavoro, si ritrovava a vendere rose? Tanti sono i misteri che portano Piersanti Spina e il suo collaboratore, il siciliano ispettore Tonino Mio, assieme al resto della sua bizzarra squadra, a indagare tra le miserie e la violenza di tanta umanità, e ogni volta che Roma sbatte in faccia al vicequestore le sue contraddizioni, ogni volta che dalla «maestosità romantica e terribile di certi scorci dell’Appia antica», passando per i palazzi borghesi del Lungotevere e arrivando alla desolazione di Pietralata, «tra orrore e incanto, ha l’impressione di partecipare a una seduta di psicanalisi urbana».

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