Artista versatile, ironico e acuto osservatore della quotidianità, ma anche grande cabarettista e showman, Enrico Brignano torna in Sicilia con un nuovo ed esilarante spettacolo. A un anno da “Un’ora sola vi vorrei”, che ha segnato il ritorno al dialogo col pubblico dopo la pandemia, l’artista sta toccando varie città italiane con “Ma… Diamoci del tu!”, che dopo gli appuntamenti inaugurali del giugno scorso a Roma, e altre tappe successive, sarà domani al Teatro Antico di Taormina e il 17 al Teatro di Verdura a Palermo. Lo abbiamo contattato per qualche anticipazione.
Il titolo dello spettacolo sembra invitare al recupero di un rapporto informale, ma non troppo si direbbe… Quali sono i contenuti del “tu” secondo Brignano?
«Il tu mi piace quando è motivato. Il lei, in alcune situazioni, mi sembra obbligatorio perché esprime rispetto per il ruolo, per una posizione sociale, anche solo come dimostrazione di riguardo e stima. Certo, mi sento più a mio agio col tu. Diciamo che la chiave è la giusta misura in entrambi i casi».
Quali argomenti facilita il ricorso al tu e quali invece rende più difficili da affrontare?
«Col pubblico ho sempre parlato molto in confidenza; quindi “tra noi” non ci sono argomenti più difficili. Il tu mi permette di presentarmi come uno di famiglia, un volto rassicurante e vicino, consentendomi di creare una premessa per la comicità che va fruita in totale relax. Mi piace essere così nei confronti degli spettatori».
Lo scorso anno, in “Un’ora sola vi vorrei”, hai passato in rassegna ciò che ha caratterizzato la fase più acuta della pandemia. Quali argomenti affronterai invece nel corso del nuovo spettacolo?
«Parlerò del mio mondo, di come vedo le cose. Il tu mi serve proprio a questo, ad avvicinarmi e far entrare nella mia ottica la platea. Un’ottica deformante, ovviamente, di chi si guarda intorno cercando di cogliere le stranezze e i paradossi della nostra società».
In quest’ultimo anno all’emergenza sanitaria si è aggiunto il problema del conflitto ucraino. Si potrebbe narrare attraverso il cabaret questo nuovo dramma, e quale potrebbe essere la formula più adatta?
«Più che col cabaret direi che si può affrontare qualsiasi argomento in teatro, anche quando si tratta di monologhi comici in un one man show. Tutto sta nel buongusto, nella prospettiva che si sceglie di sposare e illustrare. Si può far ridere e andare oltre la risata, dicendo verità un po’ scomode o amare. Si chiama satira, l’hanno inventata molti secoli fa e funziona ancora bene, perché è una pratica molto intelligente. Ecco: mi piacerebbe che dei miei spettacoli si dicesse non solo che fanno ridere, ma che sono anche intelligenti».
La tua comicità è molto incisiva e sembra riproporre la grande capacità di analisi e l’umorismo tipicamente romano del tuo maestro Gigi Proietti. Rimane un punto di riferimento anche oggi e fino a che punto?
«Lo è e lo sarà sempre, come tutti i grandi: un modello eterno. Lui è la matrice, diciamo. Poi si cresce, si evolve e ciascuno trova la propria strada. Ma di certo gli sarò sempre grato e manca moltissimo a tutti».
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