Sembra di leggere “Le avventure di Gordon Pym” di Edgar Allan Poe, oppure certe scene di tempesta di “Tifone” e di “Nostromo” di Conrad, e invece quello che il lettore si ritrova fra le mani è un preziosissimo libretto scritto nel 1185, si intitola “Viaggio in Sicilia” (Adelphi, pp. 138, euro 13), ed è l’appassionante diario di bordo di Ibn Jubayr, letterato musulmano di Spagna. Membro di una famiglia araba di nobile lignaggio, Ibn Jubayr all’età di trentotto anni interrompe una promettente carriera come segretario del governatore di Granada e parte per il pellegrinaggio alla Mecca. Ecco, questo “Viaggio in Sicilia” altro non è che il journal su cui Jubayr annota i particolari del suo rientro in patria dopo il pellegrinaggio e in cui racconta le inevitabili disavventure che all’epoca il viaggiatore per mare era costretto ad affrontare. Siria e Palestina, Mesopotamia, Arabia, Egitto, perfino l’inaspettata spinta del vento verso le coste greche, molte le tappe (anche obbligate) che Jubayr e i suoi compagni di viaggio fanno prima di approdare in Sicilia, incantata e decantata mèta che precede il rientro in Spagna. Basterebbe soltanto la descrizione dell’attraversamento dello Stretto di Messina di notte per capire la qualità della scrittura di questo intellettuale arabo: il racconto del fortunale notturno che sbalza la goletta da una roccia all’altra è così preciso, così meticoloso, così attento, da fare cogliere al lettore tutti i pericoli che riservava ai naviganti il percorso fra Scilla e Cariddi. E poi l’arrivo da naufrago a Messina è affidato a un resoconto che provoca un certo sgomento in chi legge queste pagine, non foss’altro per la somiglianza che – ahimè – si coglie con la città di oggi: «Questa città è un luogo di periodico ritrovo dei mercanti infedeli e meta di navi provenienti da tutti i paesi, frequentatissima per l’abbondanza di merci a buon mercato. Ma, avvolta nelle tenebre della miscredenza, nessun musulmano vi fissa dimora; gremita di adoratori della croce, stipata di abitanti, quasi non riesce a contenerli. Maleodorante e piena di sporcizia, squallida, non fa trovare cortesia allo straniero. I suoi mercati sono però affollati e pieni di attività, provvisti di tutto quanto può garantire una vita agiata; e notte e giorno vi stai sicuro, benché tu sia straniero di aspetto, di modi, di lingua». Fortuna vuole che – tappa agognata e inevitabile – Jubayr e i suoi compagni di viaggio arrivino a Palermo, «metropoli… che in sé riunisce due doti: opulenza e splendore». Inutile dire che le parole con cui Jubayr descrive Palermo niente hanno a che fare con quelle con cui ha umiliato e bistrattato Messina. Dice Jubayr di Palermo: «Antica ma sempre bella, radiosa, ti guarda colma di attrattive e seduzioni». E più avanti rincara la dose: «Vi si trova ogni bellezza – da te vista o immaginata – si possa desiderare per vivervi in giovinezza o in età matura». Vero e proprio libro nel libro è il prezioso saggio finale con cui Giovanna Calasso, curatrice del volume, rende il racconto dello scrittore arabo ancora più ricco e stimolante. «Quando viaggiare non era un piacere» – questo il titolo dello studio della Calasso – è la ricca conclusione di un volumetto dalle illimitate e insospettabili potenzialità: «È tutto un succedersi di tempeste, di rotte perdute, di naufragi cui si scampa in extremis – con rare pause di bonaccia che immobilizzano per giorni e giorni la nave – per arrivare a quello finale sulla costa della Sicilia».