Davvero, ancora Boldini? Visto e rivisto in grandi e piccole mostre, “infilato” in antologiche di vario argomento (dalla donna su tela alla Belle Époque, dai macchiaioli ai ritrattisti, e altro ancora), non è ripetitivo? Ogni iniziativa non è ridondante? Invece no. E basta il titolo, azzeccatissimo, di questa nuova mostra, organizzata e ospitata da “Bottegantica” (specializzata in rassegne piccole, ma preziose e raffinate), fino al 3 dicembre, per farci capire il perché di questo successo inarrestabile. «Eterno Boldini» dice tutto, con quell’aggettivo senza fine e senza limite: contiene in sé l’etichetta di un successo che attraversa immutato i decenni, forse in grado di appassionare i comuni mortali più di critici e storici dell’arte. La sua apparente semplicità (solo apparente, sia chiaro), l’aver fatto da amplificatore a un periodo storico considerato banalmente felice, il ricorso al fascino femminile che sfugge a ogni dimensione temporale, l’accurato realismo dei particolari: sono tutte caratteristiche che rendono la “lettura” delle sue opere alla portata di tutti (almeno nella parte più superficiale) e nel contempo non accontentano il “rigore” snob degli addetti ai lavori che credono di privilegiare, ora e sempre, il concetto di ricerca. Giovanni Boldini (Ferrara, 1842 – Parigi, 1931) però non è mai così banale e questa mostra riesce a dar conto di un percorso evolutivo, che mantiene sempre un evidente rigore (tecnico, formale e di ispirazione) e consente all’artista di percorrere la sua epoca essendo nello stesso tempo felicemente alla moda (era sempre strapieno di commissioni), però mai comodo in questa veste. Preferiva non essere dentro movimenti artistici, piuttosto cercava nuovi modi personali di esprimersi, partendo magari dal suo collega-amico Degas (o anche Sargent) e rifacendosi soprattutto all’amato e ammirato Velazquez, senza dimenticare né inglesi (Turner, per esempio) né fiamminghi. Il percorso espositivo curato da Francesca Dini, grande esperta di Boldini, è perfetto perché, seguendo una scansione temporale composta anche da opere inedite, aiuta a capire il susseguirsi di modi di dipingere diversi e, accanto ad alcuni esempi dei celebri e inarrivabili ritratti femminili, inserisce una serie significativa di paesaggi e una sequenza di disegni (rivelatori di una preparazione intensa), cui si aggiunge un album di schizzi e composizioni più compiute, datato fra il 1879 e il 1880. Boldini, ottavo di tredici figli, padre pittore (che lo avviò al “mestiere”), era alto appena un metro e 54 cm, e forse anche questo aspetto, poco indagato, può spiegare dal punto di vista psicologico (durante il breve soggiorno londinese del 1871, era chiamato “Little Italian”) la sua capacità di accettare i compromessi con i grandi mercanti e con gli esponenti delle ricche famiglie che gli commissionavano ritratti. Ma lui, con una vita intensa di amori, fu capace di non legarsi con contratti di esclusiva e, pur partendo dalla pittura, detta “manière à la mode”, che imperava al tempo del suo arrivo a Parigi, negli anni Settanta del XIX secolo, non si accontentò di essere un epigono di Fortuny. La mostra ci chiarisce come nei suoi primi anni parigini Boldini dimostrasse già una qualità di visione complessiva dei dipinti. “Scena galante nel Parco di Versailles” e “Vecchia canzone”, per quanto cedano al gusto del vezzo settecentesco, esprimono un dinamismo insolito e una prima e importante idea dei “caratteri” dei personaggi che vi si muovono. Di questo primo periodo la mostra espone anche “Berthe che esce per una passeggiata”. Ritengo che questo dipinto (uno dei tanti in cui è ritratta la modella a lungo sua compagna di vita) sia un capolavoro assoluto. Non solo perché ci appare chiaro che Berthe sta per uscire dal quadro e la cosa non ci meraviglierebbe, ma anche perché, oltre a un grandioso senso della prospettiva, ci racconta un mondo femminile, fatto di gioia e di curiosità, che poi troverà la massima espressione nei ritratti della maturità. A poco a poco quelle che Dini definisce «affioranti sciabolate di colore» portano Boldini a dipingere la vita femminile «come esaltante rappresentazione di sé» e «gli spazi di una quotidianità consumata all’insegna di un’intensa joe de vivre trasformati in vero e proprio palcoscenico quotidiano». Di questa grande stagione boldiniana vediamo i ritratti di Nanne Schrader e Matias de Errázuriz Ortúzar, ambedue di grandi proporzioni, che esprimono al meglio il concetto di Dini: donne consapevoli di sé, dagli occhi mobili e penetranti. Altre opere, come “Signora allo specchio”, sono esempio di un desiderio inesausto di ricerca: partendo dall’eredità impressionista, Boldini sembra precedere sia certe linee del Futurismo sia il progressivo passaggio verso quella che sarebbe diventata l’arte astratta. Caratteristiche che verifichiamo nei paesaggi esposti, per lo più legati all’amata Venezia (con San Marco piccolo e lontano rispetto alla gondola in primo piano), con anche con una poco conosciuta veduta di Amsterdam. Gertrude Stein ha scritto: «Quando i tempi avranno situato i valori al posto giusto, Boldini sarà considerato il più grande pittore dell’Ottocento». Impossibile contraddirla.