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Quella Sicilia vischiosa dove la peggior politica fa affari con la malavita

Il nuovo romanzo di Domenico Cacopardo

Da tempo volevo ritornare alla Sicilia corrusca e ambigua di altre storie e della realtà. Credo di esserci riuscito con questo romanzo. I fatti sono notori o plausibili. Basta attingere alle cronache quotidiane, per esempio ai casi Sindona e Calvi». Così Domenico Cacopardo parla del suo romanzo appena uscito, “Pater” (Ianieri Edizioni), un titolo che – dice – gli è venuto naturale scrivendo giacché gli è parso che per il protagonista non ci fosse soprannome migliore. E leggendo questa storia, un «dattiloscritto trovato casualmente dal narratore tra gli incartamenti abbandonati nell’archivio-deposito di un ufficio giudiziario messinese» e che si presenta come una sorta di memoria, scritta da Cataldo Giammoro, si capisce il perché. Questo è un romanzo, frutto d’immaginazione, secondo la formula delle avvertenze, ma poiché è inevitabile rimanere indifferenti alla cronaca e ai fatti – e Cacopardo, sia il magistrato e già Consigliere di Stato, sia lo scrittore e il giornalista, lo sa bene – la storia prende spunto dalla realtà. Perché è nella realtà che tutto si gioca, la menzogna e il male con cui i conti, manzonianamente, diceva Sciascia, sono sempre aperti.

Come mostra la conclusione del racconto, un omaggio di Cacopardo a “Una storia semplice” di Sciascia, in cui vuole «scandagliare ancora una volta scrupolosamente le possibilità che forse ancora restano alla giustizia» (così la citazione da Dürrenmatt riportata in esergo da Sciascia) in una Sicilia cupa, con il suo sistema di affari, politica e malavita, dove il lecito fa a gara con l’illecito.
L’esistenza di Cataldo Giammoro, nato nel 1923 nella frazione Marina di un paesino della costa ionica messinese si svolge all’ombra del padre, piccolo imprenditore agricolo, mai camerata ma abile nel non essere disturbato nei suoi affari. Non tanto da evitare nel 1943 un’imboscata di amici-nemici dalla quale non farà ritorno; alla famiglia viene consigliato dallo zio paterno di chiudere la partita seppellendo una bara dal contenuto misterioso. Il dopoguerra è vissuto da Cataldo tra studi, famiglia, amministrazione delle proprietà e progetti matrimoniali, in una quotidianità di compromessi e “distrazioni” che nella precaria situazione post-bellica sembrano salvavita, sullo fondo di una Sicilia arretrata e maschilista (il maschilismo di alcuni personaggi di Cacopardo «è rappresentazione che la logica del racconto fa emergere in tutta la sua retrograda gravità»).

Intanto prosegue l’ascesa sociale di Cataldo: studio da avvocato, nozze con l’amata Liborietta, facoltà, nell’amministrazione comunale, di disporre assunzioni e appalti sebbene non sia né sindaco né assessore. Ma è “pater”, e come tale diventa riferimento di una certa “famiglia” di politici e criminali per affari sempre più vasti, in una terra di mezzo che gli assicura una situazione economica florida ma non priva di rischi. Con questa storia Cacopardo «intende penetrare senza indulgenze nel contesto melmoso delle situazioni, un contesto in cui il familismo è nell’antropologia culturale: opera nella legalità e nell’illegalità, nelle menti e nell’animo di chi non distingue, e di chi distingue ma è indifferente al limite che le separa». Come Cataldo Giammoro.

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