Nel suo più recente saggio, “La legge della parola” (Einaudi), Massimo Recalcati riesce a fondere, in un’unica emissione, densità lirica, efficacia descrittiva e profondità speculativa. Fin dal sottotitolo – “Radici bibliche della psicoanalisi” – si manifesta la sua intenzione di arricchire da un lato l’interpretazione del testo sacro, dall’altro la crescita, l’evoluzione della ricerca: «… l’ipotesi che esistano delle radici bibliche della psicoanalisi non può che apparire sconcertante o semplicemente infondata». E più avanti spiega ancora: «Non si tratta (…) di psicanalizzare il testo biblico ma, casomai il contrario; si tratta di leggere le Scritture per comprendere meglio la psicoanalisi». Progetto ambizioso, non c’è che dire, se non addirittura per molti irrealizzabile, che tuttavia si concretizza attraverso l’analisi e l’approfondimento di alcuni dei capitoli fondamentali dell’Antico Testamento, da Caino e Abele («Fratricidio»), alla figura idealizzata e de-idealizzata del padre («Noè e il delirio dei babelici»), dal «timore e tremore» di Abramo («Il sacrificio di Isacco»), alla «tentazione idolatrica come desiderio perverso dell’uomo di essere Dio». Il riferimento all’opera di Freud e di Lacan è indubitabile, tuttavia l’apporto di Recalcati alla speculazione e alle indagini dei suoi maestri e predecessori è da andare a ricercare proprio nel suo scoprire, riconoscere quasi, come nella Bibbia appunto siano presenti i grandi temi che verranno ereditati dalla psicoanalisi. Anche in questo saggio, per esempio, Recalcati – nella sezione dedicata all’Arca di Noè – mette a fuoco quello che è uno dei punti centrali della sua intera opera: il rapporto padre-figlio (primo fra tutti i suoi precedenti lavori, quello che è più noto al grande pubblico, converrà ricordare «Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre», ma senza tralasciare «Il segreto del figlio. Da Edipo al figlio ritrovato”»). Ecco dunque i figli, ancora una volta: è fondamentale, chiarisce Recalcati, che essi sappiano «tutelare la fragilità del padre», che nell’assistere «alla caduta del padre», non si precipitino «a occuparne il posto perché non dimenticano la gratitudine che li lega». Come illuminanti sono le considerazioni e le parole che Recalcati dedica, per esempio, al rapporto fraterno, al «fallimento e la necessità della fratellanza». Le pagine dedicate allo «scandalo di Caino» fanno per l’appunto luce sui gesti che hanno come unico denominatore «la spinta alla negazione della differenza». Perché, spiega Recalcati, la passione di Caino, come quella di Narciso, «è di essere il solo, l’unico», egli vuole in un certo senso «coltivare un’immagine grandiosamente ideale di se stesso». Quando irrompe Abele sulla scena questi appare a Caino come «l’intruso che deruba il fratello della sua immagine ideale». La verità è che ciò che affascina nella lettura de “La legge della parola” è che per Recalcati la scrittura è quasi una sfida continua, sfida che egli affronta con un atto di coraggio: deve riuscire a far sentire al lettore non solo il silenzio dell’arida (ma non desertica) investigazione psicanalitica, ma anche la musica della psiche. Ciò che emoziona quando lo si legge è cogliere la semplicità con affronta e rende abbordabili da tutti argomenti che proprio semplici semplici non sono. Un divulgatore, dunque, e dei più nobili.