Un agricoltore viene trovato morto nel suo letto con una corda al collo. La moglie che dormiva accanto a lui è la principale sospettata dell’omicidio. Siamo in una fattoria americana degli inizi del secolo scorso. Lo sceriffo della zona chiamato a risolvere il caso e un altro agricoltore che è stato quello che ha constatato l’avvenuto delitto si recano assieme nella fattoria della vittima a svolgere le prime indagini. Visto che la moglie del fattore è stata arrestata – perché è l’unica indiziata – sceriffo e testimone decidono di portare con sé le rispettive mogli in modo che possano preparare una valigia con l’occorrente per la permanenza dell’accusata in carcere. E qui inizia una storia parallela, la vera storia, quella destinata a sorprendere noi lettori: mentre i mariti s’aggirano per la proprietà nell’intento di scoprire una prova tangibile della colpevolezza della moglie dell’agricoltore, le due mogli svolgono un’altra indagine, come se nella cucina si trovasse la chiave del mistero. In un certo senso si ritrovano, loro malgrado, a vestire i panni di certi detective “dilettanti” di cui ci sono illustri precedenti nella storia della letteratura, dal Dupin di Edgar Allan Poe allo Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle. Perché le due donne, in fondo, stanno semplicemente mettendo ordine in cucina o in sala da pranzo mentre i rispettivi mariti, fra una beffarda risatina e l’altra nei loro confronti, cercano moventi del delitto dove non li troveranno mai. È questa in breve la trama dell’intelligentissimo e affascinante racconto di Susan Glaspell «Una giuria di sole donne» (Sellerio, traduzione di Roberto Serrai), racconto che dietro la scorza del più classico dei polizieschi rivela la prima intenzione dell’autrice, quella di denunciare i guasti e le ingiustizie della società maschilista in cui vive ma in cui non vuole interpretare la parte della vittima predestinata, mettendo in evidenza nel contempo i meriti (ma anche gli eroici sacrifici) delle donne che lottano per avere il ruolo che spetta loro. Vera e propria pioniera del femminismo e Premio Pulitzer per il teatro nel 1931, Susan Glaspell trasse questo racconto del 1917 – una novella, nel senso verghiano del termine – da una propria precedente pièce teatrale che aveva non a caso intitolato “Inezie”. Scrive Alicia Giménez-Bartlett nella Nota introduttiva: «Un piccolo capolavoro letterario, pieno di sottigliezza, intelligenza e savoir faire». E in effetti il racconto conserva «la prevalenza del dialogo e l’attenzione ai movimenti dei personaggi» dell’originale scritto per il palcoscenico. Autentico libro nel libro è il breve e assai illuminante saggio conclusivo dal titolo «Un poliziesco al femminile», in cui Gianfranca Balestra spiega i motivi per i quali “Una giuria di sole donne” sia diventato «un testo paradigmatico per la critica femminista». Una volta portata a termine l’investigazione, infatti, «le due donne assumono dunque anche il ruolo di giudici e assolvono l’imputata: le prove della colpa rappresentano per loro circostanze attenuanti che una giuria maschile non valuterebbe in modo equo». All’epoca, una giuria sarebbe stata di soli maschi...