Chissà se la notte della nascita di Charles Schulz, sabato saranno esattamente cento anni fa, non sia stata «una notte buia e tempestosa». Proprio una di quelle che hanno caratterizzato uno dei suoi Peanuts (noccioline): il cane Snoopy, bracchetto antropomorfo, tra i personaggi principali delle strisce a fumetti più famose del mondo, sempre alle prese con questo incipit. Se però quest’inizio così banale (preso da un romanzo d’appendice di Edward Bullwer-Lytton, scritto nel 1830) è diventato un tormentone mondiale, tanto da avere ispirato quello del primo capitolo de «Il nome della rosa», bisogna ammettere che è entrato nella storia letteraria. Spiegò Umberto Eco: «Si può dire “Era una bella mattina di fine novembre” senza sentirsi Snoopy?», ma lui, appunto, da quell’inizio volutamente di maniera ha poi tratto il capolavoro che sappiamo. Quello di Snoopy, scrittore frustrato, invece, lo abbiamo atteso invano, ma tutti continuiamo a godere della genialità del suo creatore, visto che quelle strisce – proprio quelle di Schulz, che alla sua morte (13 febbraio 2000) non ha voluto affidare i suoi personaggi a nessun altro – continuano a essere riproposte e ripubblicate in tutto il mondo, anzi in Giappone hanno dedicato loro perfino un museo. Il contatto Snoopy-Eco ci dimostra come e quanto il mondo infantile dei Peanuts abbia lasciato il segno in una successione di generazioni. Perché quei bambini – da Charlie Brown a Linus, da Lucy a Piperita Patty e tutti gli altri – riproducevano in modo dolce ma sempre espressivo tutte le nevrosi del mondo degli adulti, in bilico tra desideri non esauditi e incertezze, tra voglia di bontà e soprusi in agguato, tra il mettersi in gioco e nascondersi ai problemi della vita. Ma chi era Schulz? Eco, ancora lui, lo tratteggia così nella prefazione al libro «Arriva Charlie Brown»: «Non beve, non fuma, non bestemmia. Vive modestamente ed è “lay preacher” (predicatore laico), in una setta detta la Chiesa di Dio; è sposato e ha, credo, quattro bambini. Gioca a golf e a bridge e ascolta musica classica. Lavora da solo. Non ha nevrosi di alcun genere. Quest’uomo dalla vita così sciaguratamente normale si chiama Charles Schulz». Nell’occasione perfino Eco, un po’ impreciso (i figli erano cinque e le mogli, nonostante la religiosità, sono state due), ha voluto semplificare. Potremmo aggiungere che Schulz è stato capace di sublimare questioni e delusioni quotidiane attraverso la schiera di personaggi che lui ha tratto da episodi della sua vita e delle persone che gli erano vicine. «Una volta – ha raccontato – con la nostra squadra di quartiere abbiamo perso davvero 40 a 0 ed è stato da quell’episodio che ho tratto l’idea dell’interminabile sequela di sconfitte a baseball di Charlie Brown». Il padre dei Peanuts nacque a Minneapolis, nello stato americano del Minnesota, ed è cresciuto nella vicina St. Paul, dove il padre Carl (l’unico della famiglia a essere nato in Germania) faceva il barbiere (come il padre di Charlie Brown). La madre Dena era invece di origine norvegese. Alle volte il destino si vede nelle cose di ogni giorno: appassionato di disegno fin da bambino, il suo soggetto preferito era Spike, il cane di casa, il prototipo di Snoopy. Ma nei suoi disegni, quasi sempre privi di sfondo perché significativi di per sé nell’espressione e nei gesti, non occorre alcuna ambientazione di luogo. «Non so dove vivano veramente i bambini Peanuts – dichiarò Schultz nel 1992 –. Mi pare che in origine pensai di farli vivere in quei piccoli agglomerati per i reduci dove io e Joyce eravamo andati ad abitare quando ci sposammo a Colorado Springs. Adesso non ci penso proprio più. I miei fumetti sono diventati così astratti e sono talmente una produzione della fantasia, che credo sarebbe un errore decidere il posto preciso dove far abitare i loro personaggi». Più che astratti direi che quei bambini, che ricordano con intelligente ironia gli affanni degli adulti, sono universali. Perché in fondo il loro mondo non è così astratto, ma per ognuno tenacemente aggrappato a qualcosa: per esempio, Charlie Brown al suo maglione e al baseball, Lucy al suo comportamento da bulla, Linus alla sua inseparabile coperta (diventata proverbiale), Snoopy alla cuccia, alla macchina per scrivere e al sogno di essere il Barone Rosso, Schroeder al pianoforte e a Beethoven, eccetera. Si è detto che i Peanuts siano portatori del senso della vita e lo stesso Eco ha parlato di autentica poesia, ma Schultz fuggiva da questo tipo di giudizi: «Quando mi dicono “Ammiro tantissimo la sua filosofia”, io letteralmente e onestamente non so di che cosa parlino perché non ho mai saputo quale fosse la mia filosofia». Freud avrebbe parlato di inconscio, visto che i Peanuts (a proposito, questo nome, scelto da un editore, non è mai stato gradito a Schulz) il senso della vita lo hanno raccontato, eccome, ininterrottamente dal 1950 al 2000, pubblicati da oltre 2600 giornali in 75 Paesi diversi (in Italia il mensile “Linus” e “Il Post”), diventando anche cartoni animati e perfino un musical a Broadway. E ancora oggi, per nulla invecchiati, sono costantemente riproposti. Il giorno dopo la morte dell’autore fu pubblicata l’ultima striscia. Vi appariva Snoopy che con la sua macchina per scrivere lasciava questo messaggio: «Cari amici, ho avuto la fortuna di disegnare Charlie Brown e i suoi amici per quasi cinquant'anni. È stata la realizzazione del sogno che avevo fin da bambino. Purtroppo, però, ora non sono più in grado di mantenere il ritmo di lavoro richiesto da una striscia quotidiana. La mia famiglia non desidera che i Peanuts siano disegnati da qualcun altro, quindi annuncio il mio ritiro dall'attività. Sono grato per la lealtà dei miei collaboratori e per la meravigliosa amicizia e l'affetto espressi dai lettori della mia "striscia" in tutti questi anni. Charlie Brown, Snoopy, Linus, Lucy... non potrò mai dimenticarli...». Rimangono i personaggi, bambini con le loro nevrosi da grandi. Da rileggere tutto con leggerezza perché, come diceva Charlie Brown, «mai starsene svegli la notte a rivolgersi domande cui non si sa rispondere».