La vita ci regala talora coincidenze magnifiche. Così accade che due delle compagnie più importanti in Italia, la Scimone-Sframeli di Messina e Scena Verticale di Castrovillari (Cosenza), entrambe del Sud e spesso un po’ neglette sul loro territorio nonostante i successi e i tanti premi importanti, debuttino lo stesso giorno, oggi, coi loro nuovi e attesi spettacoli, rispettivamente a Prato e a Milano.
Spiro Scimone presenta il suo nuovo testo, «Fratellina», con la regia di Francesco Sframeli, ambedue anche attori, in scena con Gianluca Cesale e Giulia Weber. I due protagonisti, Nic e Nac, «decidono – spiega Scimone – di andare alla ricerca di un posto sperduto, abbandonato, un posto dimenticato da tutti, dove tutte le cose dimenticate si possono di nuovo ritrovare». Un modo per raccontare con spiazzante ironia la nostra realtà facendo, come sempre, ricorso al non senso, elemento teatrale per eccellenza, anche molto utile per creare dialoghi spiazzanti (come già il titolo) che riflettono sul «come ci siamo ridotti». Lo spettacolo è una coproduzione tra la compagnia messinese e il Teatro Metastasio di Prato e da stasera a domenica sarà sul palcoscenico del Fabbricone, uno dei più gloriosi del teatro italiano.
Per Scena Verticale il debutto (sempre oggi e con repliche fino a domenica) nel Teatro Menotti di Milano, lo stesso dove già nella scorsa stagione Saverio La Ruina (autore, attore e regista) aveva presentato una rassegna dei suoi spettacoli. Il nuovo testo si intitola «Via del Popolo», come la strada di Castrovillari che fa parte dell’infanzia dell’autore. Come si spiega nelle note di regia, «due uomini percorrono via del Popolo, un uomo del presente e un uomo del passato. Il primo impiega due minuti per percorrere 200 metri, il secondo 30 minuti». Perché un tempo quella realtà cittadina era fitta di negozi e quindi di persone e attività commerciali o artigianali che adesso non ci sono più, spazzate via dalla grande distribuzione o dai marchi che si replicano uguali da Nord a Sud.
Scimone e La Ruina, quindi, sia pure con stili completamente diversi, ci invitano a una riflessione comune sulla realtà di oggi, che sembra aver perso quei tratti di autentica umanità che consentiva a tutti percepire gli altri a stretto contatto di gomito e non mediati dagli strumenti della tecnologia. Più che proporre inutili rimpianti, i due autori sembrano uniti dalla voglia, o meglio della necessità, di non perdere i contatti col prossimo (e con se stessi), e gli abbracci (molto citati nel testo di Scimone) e le strette di mano contribuivano a mantenere uno stato di benessere sociale e personale.
Scopri di più nell’edizione digitale
Per leggere tutto acquista il quotidiano o scarica la versione digitale.
Caricamento commenti
Commenta la notizia