Che la mente sia un paese di quel territorio più vasto che è il cervello, i neuroscienziati lo studiano da tempo. Anche se – sostengono – non abbiamo ancora del tutto compreso la coscienza, l’attività fisico-chimica del cervello, che distingue gli umani dagli altri esseri viventi. La coscienza e l’inconscio con cui psicologi e psicoterapeuti lavorano per tirar fuori autoinganni, angosce, paranoia, depressione, insomma tutto il teatro allestito dall’io. «Forse la vera follia non è altro che la saggezza, la quale, stanca di imbattersi nelle vergogne del mondo, ha preso la saggia decisione di impazzire» recita l’esergo tratto da Heinrich Heine riportato in “Le linee storte di Dio”, titolo italiano del romanzo ”Los renglone storcidos de Dios” dello scrittore spagnolo Torcuato Luca de Tena (Madrid 1923-1999), mai tradotto in italiano dal 1979, quando fu pubblicato in Spagna, e oggi curato da Vallecchi con la traduzione di Ariase Barretta, in attesa del nuovo film del regista catalano Oriol Paulo, tratto dal libro, «Quando Dio imparò a scrivere», in arrivo venerdì su Netflix. Un thriller psicologico che indaga nel mondo oscuro delle patologie oligofreniche come più gentilmente viene chiamata la malattia mentale secondo la nuova visione psichiatrica che si scontra con una vecchia scienza meno sociologica e più medica. Nella sua gamma di casi più o meno gravi che lascia fuori il palcoscenico della vita sociale e ne mette in piedi un altro, entra Alice Gould de Almenara, signora di grande intelligenza, di grande bellezza e con un’alta autostima, per indagare su un caso di omicidio. La versione ufficiale del suo arrivo in un isolato ospedale psichiatrico della Castiglia è quella di aver tentato di avvelenare il marito e di costruirsi una realtà inesistente se non nelle sue folli fantasie. Pure lei, dunque, come gli altri poveri matti, ognuno con un suo personale inferno, sarebbe una delle «linee storte di Dio», un «errore di ortografia di quando ancora Dio non sapeva scrivere», grida un malato. L’ospedale è diretto da uno psichiatra che appartiene alla corrente dell’antipsichiatria secondo la quale i pazienti sono malati e perciò la struttura non ha sbarre, ha un sistema aperto e prevede una certa socializzazione, ma nella Sala dei reietti Alice si ritrova a contatto con l’Ortolano, lo Gnomo, la Ragazza dondolante, il Triste cronico, l’Astronomo, la Statua di cera, laScorbutica, il Finto muto, l’Uomo piangente, e tanti altri poveretti di un’umanità dolente. E non manca purtroppo la Gabbia dei mostri, dove ci sono gli “scarti” peggiori degli infermi mentali e dove Alice un giorno si ritrova per aver esagerato nelle sue reazioni. Ma Alice è sana, come mostra la sua naturale capacità di intessere relazioni sociali e di analizzare le situazioni, e come ritengono alcuni medici della struttura? O è paranoica e ha costruito una realtà visionaria, come attesta il certificato del suo medico e come ritiene il direttore? Il racconto di grande interesse emotivo dello scrittore madrileno mantiene sino alla fine il dubbio su tutto, non mancando il sorprendente effetto finale. Per la squisita architettura della trama di un tema così difficile ma che mantiene una certa aria donchisciottesca (non mancano i malati che combattono contro i mulini a vento...), Torcuato Luca de Tena, già direttore del quotidiano spagnolo ABC (e nipote del fondatore), una vita dedicata al giornalismo attivo (fu corrispondente della stampa a Londra durante la Seconda guerra mondiale) e alla scrittura letteraria e saggistica, volendo studiare la “locura”, la follia, come emarginazione sociale, si ritirò per 18 giorni in una struttura psichiatrica dove convisse con infermi mentali che servirono di base per la realizzazione dei personaggi dell’opera, «sventurati errori della natura». Righe storte di Dio.