«Sono diventato lo spettatore di mia madre che si sta dissolvendo, uno spettatore che guarda su uno schermo improvvisato una pellicola sbiadita, cercando di indovinare le forme», così scrive Marco Annicchiarico nel suo bel libro “I cura cari” (Einaudi Unici), racconto-diario commovente per dire il dolore e lo smarrimento di chi si prende cura d’un familiare colpito da Alzheimer. Malattia misteriosa, che giorno dopo giorno mostra un volto che nessuno ci racconta e che Annicchiarico, con parole da poeta qual è, ha deciso di scrivere, anche perché scriverne «aiuta a guardare le cose da una prospettiva diversa». Quale? La prospettiva dell’amore e dell’accettazione di una madre “diversa”, una madre-bambina che pare voler giocare, che ha perso i freni inibitori, ma non l’ironia e lo sguardo materno pure se non riconosce più suo figlio.
Lucia, la madre, è in un altrove dove insieme ai gesti anche la lingua diventa “nuova” e causa sgomento nel marito Sebastiano e nel figlio. E Marco a un certo punto si trova ad assistere entrambi i genitori conoscendoli «in una veste insolita, non più come genitori, ma come persone. Lo hanno permesso le loro malattie». Una grande lezione attraversata dal dolore che dopo la morte del padre accresce la responsabilità del figlio verso Lucia.
Non è la madre che tende le mani al figlio ma il figlio che la sostiene nella difficile quotidianità. Marco diventa un “curacaro”, neologismo che traduce l’inglese «caregiver», inventato da Flavio Pagano per indicare i familiari che si occupano di una persona malata. Ma chi è che cura il curacaro? Accade che la persona che assiste assuma su di sé il pensiero della malattia senza vedere il resto attorno a sé. E invece, il curacaro deve prendere le distanze dalla malattia assecondandola; così quando Marco comincia a fare sue le parole nuove della madre, una sorta di nuovo esperanto, quando gioca con lei pur nelle situazioni dolorose in cui viene a trovarsi, e quando allarga lo sguardo sugli altri, allora l’assistenza, la cura diventano più sopportabili e la conciliazione con la vita più serena.
Certo, si tratta pure di avere a che fare con la realtà multiforme di medici, psicologi, assistenti, badanti il cui supporto è indispensabile. Non tutti professionali e competenti, ma anche questa ricerca, perché poi la persona giusta arriva, è un viaggio nel pianeta della malattia.
Marco è diventato “curacaro” autodidatta nel 2016 e attraverso un suo blog ha dato e ricevuto aiuto da tanti che lo hanno corrisposto. Intanto pubblica plaquette e libri di poesia. E, soprattutto, va avanti.
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