Con umiltà, con pazienza, con amore, ma soprattutto con grande sapienza, nel suo più recente saggio Daria Galateria ricostruisce e percorre un itinerario inedito all’interno della Recherche proustiana. Il libro s’intitola “Il bestiario di Proust” (Sellerio) e, sarebbe il caso di dire, racconta della zoologia fantastica che, quasi come un vero e proprio manuale di borgesiana memoria, affolla l’opera di Proust: «La Recherche è un’Arca di Noè, carica di animali, che Proust ha messo in salvo…». Non si tratta della pedante enumerazione di creature appartenenti al mondo animale che ispirano l’autore della Recherche, ma semmai del tentativo ispirato e accurato di un’attenta studiosa di aggiungere qualcosa di nuovo, come appunto quest’elenco nato da un’inedita angolazione e prospettiva, alla già infinita lista di interpretazioni dell’universo proustiano. Ma attenzione, il tentativo, peraltro riuscito, della Galateria, è assai originale sì, tuttavia non spericolato, assolutamente non forzato: il lettore fa la gustosa scoperta di come gli animali – «osservati con tenerezza spietata» – siano stati «attori delle principali pagine della vita e delle opere di Proust». È la stessa saggista a chiarire fin da subito: «… è bene considerare come i suoi grandi temi – l’amore, le tenerezze e le crudeltà familiari, l’eros, il matricidio, la morte, il sadismo, la gelosia e tutto il resto – convochino, per spiegarsi, le bestie più disparate, e con che occhi spietati e fraterni Proust le abbia sempre osservate». Anni e anni di frequentazione del capolavoro proustiano da parte della studiosa e francesista rendono quindi il suo “capriccio” intellettuale e interpretativo una vera e propria performance stupefacente e stimolante: sull’immensa tastiera offerta dalle pagine di Proust la Galateria, come una vera e propria virtuosa, compone un numero di squisite variazioni che – almeno è questa l’impressione che dà – potrebbero non finire mai. Il confronto, il delicato e interessante parallelo fra la vita degli animali e quella degli umani serve a Proust non solo per nutrire le proprie storie, ma per capire meglio se stesso: «I veri paradisi sono i paradisi che abbiamo perduto», una delle sue frasi più celebri, per esempio, la scriverà dopo aver visitato lo zoo di Parigi e aver visto leoni e orsi in gabbia, «re in esilio che hanno perso le loro giungle, il loro passato». Dalla balena al riccio, dall’alcione al lupo, il catalogo della Galateria è servito. E in esso vi scopriamo quanto Proust, come se si guardasse in uno specchio, fosse preoccupato «per gli animali a cui la natura ha reso difficile amarsi». E certi momenti anche lui si rende conto d’essere come un predatore che va a caccia di ossigeno: io non vivo, mi limito a cercare di respirare. In questo appassionante e dotto excursus viene preso per la prima volta in considerazione quanto spesso ricorressero le domande che Marcel Proust, nell’osservare il mondo animale, avrebbe potuto fare a se stesso: chi di noi ha scelto questa vita? Chi non ne è stato colto alla sprovvista? Come in un nuovo Zibaldone, nel «bestiario» Galateria ci mette di fronte a un testo in cui è riuscita a fondere, in un’unica emissione, densità lirica, efficacia descrittiva e profondità speculativa. Cosa chiedere di più a un libro?