«Il destino come scenario, collettivo e grandioso, crudelissimo e ingiusto, ma solo destino che sta dietro a un fatto tragico come il disastro aereo di Punta Raisi del 1978». È questo che ha spinto il giornalista e scrittore Roberto Alajmo, a raccontarlo in “Notizia del disastro” edito da Sellerio.
La sera del 23 dicembre 1978 un DC9 con 129 passeggeri proveniente da Roma, si schiantò nel mare mentre era già in fase di atterraggio nell’aeroporto palermitano; si parlò di errore umano ma sicuramente ci fu una serie di concomitanze, compresi la mancanza di certi sistemi di sicurezza di quell’aeroporto (che aveva già sofferto nel 1972 il disastro di Montagna Longa), le condizioni meteorologiche e il ritardo nei soccorsi che avrebbe permesso di salvarsi a una sessantina di persone che uscirono vive dall’aereo ma di cui solo 21 sopravvissero. E invece, nonostante il primo prezioso soccorso del peschereccio “Nuovo Pacifico” del comandante Benedetto Verduci, molti annegarono a pochissima distanza dalla costa.
Alajmo aveva cominciato a raccogliere- come scrive nella introduzione alla nuova edizione- testimonianze e documenti e a confrontarli, ma ben presto si convinse che dietro questo caso «non c’era un complotto o un attentato, ma solo il destino». Evocando la malevolenza degli dei, o, si potrebbe aggiungere, l’invidia degli dei per la hybris dell’uomo che ha realizzato il sogno di Icaro di volare, Alajmo, dopo aver elencato in apertura i nomi delle 129 persone, racconta le storie di come morirono e come vissero, «perché confrontando le testimonianze -scrive-, notavo le discrepanze che diverse fonti prospettavano e le diverse angolazioni di chi raccontava la stessa vicenda magari dopo alcuni anni. Sembrava il Rashomon del regista Kurosawa in cui ognuno dei personaggi dà una versione del fatto».
Fu una spinta a mettere insieme i “personaggi” di questo “romanzo”, restituendo in un’opera corale e dolente le voci dei superstiti e dei parenti delle vittime, tutte riunite insieme su quel volo maledetto. Molti di essi, infatti, tra i quali tanti giovani, avrebbero dovuto prendere il volo precedente e furono riposizionati su quel volo serale successivo che avrebbe soddisfatto l’urgenza di essere a casa, in Sicilia, per ricongiungersi con familiari e amici, il 23 dicembre 1978. Allo stesso modo, altre persone che pur protestando non riuscirono a salire sul DC9, furono rimandati a un altro volo ancora e perciò si salvarono.
Dare un senso alla tragedia non è possibile, secondo Alajmo, anzi, «riportare e rispettare l’incoerenza» è l’unico modo di scrivere di quei fatti che un senso non hanno. Come scrive Camus, riportato nell’esergo, «non si sopporta di ammettere che un numero enorme di persone, ognuna delle quali conteneva in sé tutte le evenienze del genere umano, sia stato massacrato inutilmente, assolutamente per nulla». Non ha un senso, ma ha un senso, sicuramente quello memoriale, scriverne. Come ha fatto Roberto Alajmo.
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