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Il “Berretto a sonagli”, Lavia e le “verità” pirandelliane in scena nei grandi teatri italiani

Il suo scrivano Ciampa, interpretato in dialetto siciliano, ci conduce nel labirinto, spesso drammatico, delle relazioni familiari e sociali

Il chiaroscuro del personaggio di Ciampa del “Berretto a sonagli”, capolavoro assoluto di Luigi Pirandello, in quella zona franca che è il teatro, in quel luogo che, come diceva Pavese, per la poesia, non è un senso ma uno stato, non un capire ma un essere, Gabriele Lavia, con i suoi freschi ottanta anni, lo disegna con le parole che sembrano riscaldare tutto il corpo, fino a renderlo gigantesco nell’oscurità greve della scena.

È il “suo “Berretto a sonagli” che, dopo la prima romana al Teatro Quirino Vittorio Gassman dall’8 al 20 novembre scorsi, dove Lavia è stato accolto da un pubblico osannante, andrà in scena a Napoli, Forlì, Spoleto, Bergamo, Milano, Firenze, Udine, Ferrara, Imola, Mestre, Massa, Ascoli Piceno, Taranto, Bari, Lugano, Salerno, e vedrà lo scrivano Ciampa, metonimia dell’enigma della condizione umana, umile e sfrontato funambolo della parola, interprete puro di quell’eresia del ragionare, ironica, beffarda e tragica che ci fa addentrare nel labirinto intricato delle relazioni familiari e sociali.

È bello ritrovare la malia del teatro, il genio di questo luogo della memoria e della ripetizione «perché - dice il maestro Lavia nella nostra bella conversazione - il luogo è importante, non è un nulla, se io sono un teatro non posso tradire il teatro. Il pubblico, purtroppo, si abitua al peggio e si di-verte, e il tradimento di-verte ma allontana. Invece un luogo deve essere fedele, anche se la fedeltà non è semplice, a volte è amara e richiede responsabilità».

Una responsabilità che il “suo” Ciampa, di cui è magistrale interprete, regge sulle spalle, sin da quando appare sulla scena curata da Alessandro Camera: nell’oscurità quasi collosa, si staglia il rosso di un salotto borghese, all’apparenza elegante, ma a ben guardare sgangherato. E i segnali del dramma (il dramma è tutto qui, è in noi, diceva Pirandello) ci sono già tutti, dai movimenti spasmodici di Beatrice, la moglie tradita del cavalier Fiorica, interpretata da Federica Di Martino (la parte, pur impeccabile, risulta piuttosto “fredda” nella resa emotiva) alla parodo da tragedia greca della tata Fana (la bravissima Maribella Piana), ai passi danzanti di Fifì La Bella, il bravo Francesco Bonomo nei panni del fratello dandy della malmaritata Beatrice.

Sui margini della scena, alcuni manichini in abiti borghesie, sul lato opposto, a far da quinta, dei teli chiari e trasparenti, specchio spietato attraverso il quale il gioco delle luci (e delle parti) crea ombre che pretendono d’imporsi. Luci e ombre fantasmatiche che nella vita umana come nell’opera tutta di Pirandello e nella regia di Lavia stanno in opposizione binaria, a significare apparenza e realtà, conscio e inconscio, sospensione ed epifania, verità e menzogna.

Ma com’è il Ciampa di Lavia? «Il “mio” Ciampa è come viene - dice il maestro - a volte un po’ meglio, a volte un po’ peggio. Il teatro è un’arte collettiva, è determinante l’incontro dell’attore con il pubblico. E questo incontro è un mistero, a volte viene bene, a volte no, come quando si cucina la caponatina o il sugo di pomodoro e penso alla mia nonna siciliana. Con gli stessi ingredienti, ma con mani diverse, il risultato cambia. E poi mi interessava mettere in evidenza la contrapposizione tra verità e menzogna e come nel mondo pirandelliano, allo stesso modo di quello strinderghiano, è la donna a essere contro la menzogna e portatrice di verità. Ma quando la verità viene conclamata, allora è pazza».

E quando gli chiediamo se, a suo parere, il pubblico applaude più Ciampa o più il maestro Lavia, «il pubblico - dice - ha un rapporto stretto col personaggio e un certo affetto per l’attore. Il pubblico applaude Ciampa e il suo geniale autore, come avviene per i cinque o sei autori mondiali di “divina” grandezza, i greci delle tragedie, Shakespeare, Čechov». Di Ciampa, vivo per sempre come personaggio, che tira la corda comico-grottesca nel primo atto per poi scuotere la corda pazza-tragica nel secondo, lo spettatore respira i movimenti, le pause, attende il paradosso logico delle argomentazioni.

Lavia interpreta l’anima di Ciampa esibendosi in un dialetto di altissima dignità, illustre come il siciliano onorato da Dante, una strategia linguistica nel rispetto delle scelte pirandelliane. «Ho fatto una mescolanza- dice- tra la “prima” e la “seconda” versione del “Berretto a Sonagli” scritto da Luigi Pirandello nel 1916, in siciliano, per il grande Angelo Musco. Ho diviso i personaggi, da una parte la famiglia borghese che parla in italiano, Beatrice, Fifì e Assunta La Bella (l’attrice Giovanna Guida), dall’altra Ciampa, la rigattiera Saracena (interpretata daMatilde Piana), Fana e la sua saggezza popolare (“cu luversu, signuruzza, si riportano gli uomini a la casuzza”), e il delegato Spanò (il bravo Mario Pietramala) che parlano in dialetto». E quando Ciampa-Lavia grida a Beatrice “scatasciassisignuruzza”, si sfoghi, faccia scoppiare la sua sete di giustizia e di vendetta, l’imperativo risuona con la sua tremenda verità in tutto il teatro. E non c’è bisogno di traduzione.

Sarebbe bello che nel suo lungo tour (fino a marzo 2023) Ciampavenisse in Sicilia, «ma no - dice Lavia -, per rispetto a Turi Ferro perché qui il Ciampa che tutti ricordano è lui, il grandissimo Turi, che era veramente in contatto con lathea, con la divinità del teatro». Quando poi insistiamo per sapere se tornerebbe in Sicilia per un grande progetto, «nessuno mi ha chiamato», risponde, mentre ricorda la stagione felice di direttore artistico della sezione prosa di Taormina Arte dal 1984 al 1994, un decennio esaltante «in cui il Teatro Antico era il centro di tutto, ma la città intera diventava un teatro, la villa comunale, il palazzo dei congressi, la strada. Ecco il vero problema: il luogo, come dicevo prima, non è un nulla e non va tradito».

Per tornare al “Berretto a sonagli”, da ricordare l’attrice Beatrice Ceccherini nella parte di una enigmatica Nina Ciampa, l’aiuto regia Lorenzo Terenzi, le musiche di Antonio Di Pofi, le luci di Giuseppe Filipponio e i costumi ideati dagli allievi del Terzo anno dell’Accademia Costume & Moda, Matilde Annis, Carlotta Bufalini, Flavia Garbini, Ludovica Ottaviani, Valentina Poli, Nora Sala, Stefano Ritrovato coordinati da Andrea Viotti. Lo spettacolo è prodotto da Effimera e Diana OR.I.S.

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