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«La sirena di Black Conch»: se una leggenda antica ispira una fiaba moderna

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Forse non bisogna disturbare i fantasmi delle antiche leggende o forse sì, per entrare nei misteri della natura di un tempo primigenio quando le specie viventi si respiravano l’una con l’altra e la miseria umana non aveva ancora corrotto ogni cosa. Ed è il magico mondo caraibico, così esuberante di leggende come la sua rigogliosa natura, a ritornare come una necessità nella scrittura poetica di «La sirena di Black Conch» (Marsilio, trad. di Ada Arduini), romanzo di Monique Roffey, britannica ma nata a Trinidad, studiosa di letteratura coloniale e docente di scrittura creativa all’Università di Manchester.

Rilettura in chiave moderna di una leggenda propria dell’epica di un popolo indigeno scomparso insieme alla sua lingua, cancellato da secoli di conquiste e immigrazioni in una terra da sempre dilaniata da lotte tra bianchi e neri, tra padroni e schiavi. Una fiaba e una grande storia d’amore, cui dà anima la voce narrante di David, giovane pescatore dell’isola caraibica immaginaria di Black Conch, che sta bene di fronte al mare, nel silenzio, dove non bisogna farsi domande ma lasciarsi andare, come nell’amore, al movimento di fuori-e-dentro, che da sempre dà origine ad ogni cosa.

Così quando un giorno, nel 1976, vede emergere dagli abissi una sirena, dai lunghi dreadlocks neri e dai tratti amerindi, il desiderio di fondersi con lei diventa quasi un dolore. Quella creatura che, attratta dai dolci canti di David, «sembra arrivare da uno spazio di mezzo nel grande ordine di Dio, dal tempo in cui prendevano vita le creature e i pesci uscendo dal mare si facevano crescere le gambe», e riporta a David storie di creature marine e di tritoni, torna ogni giorno all’appuntamento nel loro mare e fa gonfiare il cuore in petto a David di un sentimento potente e atteso: l’amore.

Ma un giorno la bruttezza del mondo col suo carico di cattiveria e odio per chi è diverso irrompe nella malia di quell’incontro. David, tuttavia, come racconta nel suo diario scritto tra il 2015 e il 2016, riesce a salvare Aycaya, che secoli prima era una giovane donna, la più bella del suo villaggio, che la maledizione delle mogli gelose aveva trasformato in una creatura marina, ed essa può riprendersi il suo corpo e la sua anima di donna, imparare le parole nuove mentre restituisce le parole antiche di una lingua cancellata insieme ai popoli perduti. Per sapere come finisca questa fiaba bisogna arrivare sino alla fine di questo bel libro in cui la forza del mito s’intreccia col quotidiano, coi suoi conflitti, sui quali tuttavia l’amore, non il possesso, non il colore della pelle, pare trionfare.

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