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Dante «padre del pensiero di destra»? Non ragioniam di lui. Gli studiosi sull'affermazione di Sangiuliano

Un anacronismo, un nonsenso. Anche perché, semmai, era un rivoluzionario

«Il De vulgari eloquentia è un immenso affresco della lingua del potere e del potere della lingua», lo ripete spesso il linguista e dantista, accademico della Crusca, Francesco Sabatini, ideatore con Paolo Di Stefano del Dantedì, la Giornata mondiale di Dante e per Dante. E che oltre a ricordare che «dominare bene una lingua dà potenza», riguardo al Poeta ha sempre detto che Dante è di tutti e per tutti, e dunque qualsiasi forma espressiva che diffonda Dante con la fantasia e la creatività, è utile per noi umani. Perciò, quando lo abbiamo interpellato – e, con lui, altri autorevoli linguisti – , sull’affermazione del ministro della Cultura che «Dante è il fondatore del pensiero di destra», ha risposto così: «Ma cosa significa, dopo ottocento anni, dire “è di destra” o “è di sinistra”? Non c’è niente da dire, talmente è un non-senso quest’affermazione, se non che usare i criteri di oggi rispetto a una questione di 750 anni fa, mi sembra ridicolo. Allora bisognerebbe dire lo stesso di Virgilio, Giulio Cesare, Augusto, Ovidio, Orazio… Lasciamo perdere, questioni di settecento o mille o duemila anni fa non hanno alcun senso proiettate sulla scena di oggi. Non è il caso neanche di parlarne. Non ragioniam di lor ma guarda e passa, Dante stesso non vi avrebbe dato alcun rilievo, perché non ha senso».

Ma da qui, che Dante sia di tutti e che noi apparteniamo a Dante, al tentativo maldestro di lasciarlo nelle mani dell’ideologia di turno, ce ne corre. Dante «sarebbe sdegnato di essere manipolato, lui che senza dubbio fu un uomo di parte, ma dalla parte si liberò facendo parte per se stesso», così ci dice lo scienziato Edoardo Boncinelli, da sempre innamorato di Dante e dei classici. «Affermare che Dante è stato il fondatore della cultura di destra è un esercizio retorico inutile, che mette in chiaro due cose: che in Italia siamo abituati ad attribuire questo o quello alla destra o alla sinistra, e poi che si fa un uso politico della cultura. Un esercizio inoltre anacronistico, se pensiamo alla complessità delle divisioni, delle partes al tempo di Dante, tra guelfi e ghibellini, tra guelfi bianchi e guelfi neri, tra imperiali e papalini».

«Non credo ci siano le basi storiche per questa affermazione», aggiunge Valeria Della Valle, linguista, accademica della Crusca e autrice con Giuseppe Patota dell’introduzione del genere femminile che precede il maschile, secondo ordine alfabetico, nell’ultimo dizionario Treccani. «Come sempre si cercano padri illustri del passato che vengono “tirati per la giacca” dalla politica contemporanea. Una volta Garibaldi, un’altra volta Tacito, ora e anche in passato Dante. Dicevo delle basi storiche perché il concetto di “destra” nasce con la Rivoluzione francese. E non c’entra con Dante, figlio del suo tempo. Ma al di là di questo, da linguista voglio fare una riflessione linguistica che credo risolva la questione: Dante è stato il grande diffusore e sostenitore del volgare e grazie alla sua coraggiosa scelta noi parliamo l’italiano. Se avesse difeso il latino e si fosse continuato a usare il latino, si potrebbe dire che aveva fatto una scelta conservatrice. E invece no: fece una scelta rivoluzionaria. E dunque non di “destra”...».

«Immagino, come ha detto un’autorevole storica medievista, che si sia trattato di un momento di “stanchezza”, di “voce dal sen fuggita” – ci dice Giuseppe Patota, linguista, accademico della Crusca e autore di tanti testi scritti anche con Valeria Della Valle (tra gli altri da ricordare “La grande bellezza dell’italiano” nostro patrimonio con Dante, Petrarca e Boccaccio, e il recente “Lezioni d’italiano”) – Si tratta comunque di un’affermazione non argomentata perché non argomentabile. E non argomentabile poiché è un chiaro anacronismo, dato che i concetti di “destra” e sinistra” non esistevano al tempo di Dante. Se volessi fare un altro anacronismo al contrario, si potrebbe allora dire che l’incontro tra San Francesco e Madonna Povertà nel canto XI del Paradiso dimostrerebbe come Dante sia fondatore del pensiero di “sinistra”. Da docente che scrive libri e che insegna agli studenti ritengo che bisogna sempre dare un fondamento storico alle affermazioni e alle argomentazioni. E questo vale per tutte le professioni e i ruoli e dunque anche per un ministro che parla a tutti. Per tornare a Dante, che ho studiato al liceo e frammentariamente all’università, e ho studiato e ristudiato tante volte, pure scrivendone, ogni volta che usciva un saggio di altri studiosi su Dante, mi sono reso conto che io di Dante ne sapevo troppo poco o non quello che avrei dovuto sapere. Per concludere, da linguista ricordo che la scelta di Dante di una maggiore diffusione del volgare rispetto al latino, come la chiameremmo? “progressista”, di “sinistra”? No, ma sicuramente non conservatrice».

«L’affermazione in sé non meriterebbe un commento – conferma Gianfranco Fioravanti, dantista che, tra gli altri suoi studi, ha curato per i Meridiani il “Convivio” – e, se bisogna dirne, prima di tutto va ricordato che Dante è stato strattonato ora da una parte ora dall’altra. Ma se proprio si vuol parlare di “destra” e di “sinistra”’, se ricordiamo il Risorgimento, se pensiamo a Carducci, se ripensiamo ai canoni ottocenteschi della cultura laica italiana di sinistra, Dante sarebbe stato fautore di idee di “sinistra”. Gramsci diceva che Dante era un utopista à rebours che guardava al passato e vedeva nel mondo dei Comuni, nei mutamenti criticabili che erano sotto i suoi occhi, il mondo dei banchieri e dell’avanzare del fiorino, come una realtà dove tutto era comprabile e vendibile, anche la cultura. E perciò, come evidente dai versi della Commedia si rifugiava nelle idee di un passato di concordia che sperava potesse diventare presente e futuro con l’imperatore Arrigo VII. Che non doveva essere il despota o il tiranno, ma aveva il compito di assicurare pace e tranquillità al giardino dell’impero, all’Europa (“vieni a veder Montecchi e Cappelletti… Monaldi e Filippeschi”, canto VI Purgatorio). Allora, rispetto a questa visione “utopica” dell’impero e del passato, si potrebbe dire che Dante era un “reazionario”, ma certamente mai fondatore del pensiero di “destra”».

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