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«La stella spezzata» o la luce dell’amicizia nel buio del Male. Il nuovo romanzo del messinese Falcone

Gioele Anticoli e Marco Cortini sono amici per la pelle. Sono due ragazzini italiani, anzi romani. È del tutto irrilevante che uno sia ebreo e uno no. Le loro famiglie sono strette da un vincolo antico: i loro padri, Davide e Antonio, già avevano sperimentato, nei giorni della Grande Guerra, il potere salvifico dell’amicizia. La stessa sorte, in forme diverse, toccherà ai due ragazzi. Gioele e Marco nell’estate del 1938 hanno dodici anni e il mondo come lo conoscono sta per cambiare in un tragico modo. Dalle infami leggi razziali del settembre di quell’anno fino al 1946 scorrono le loro storie, annodate e parallele. E se la famiglia di Gioele è quella che più soffrirà – sempre più esclusa, discriminata, vessata – anche la famiglia di Marco subirà privazioni e ingiustizie, e, per soprammercato, dovrà fingere di aderire all’insopportabile retorica del regime criminale di Mussolini. Questa storia, tragica e delicata, ce la racconta lo scrittore messinese Mario Falcone, noto sceneggiatore e narratore (nel 2022 era uscito anche il romanzo “Manuela”, per Giulio Perrone editore), in “La stella spezzata”, che la palermitana Kalós pubblica nella lungimirante collana “oltrelostretto”.

Falcone è autentico messinese ma anche romano d’elezione (a Roma ha vissuto per molti anni, prima di tornare in riva allo Stretto), e tutto il suo amore per la Città Eterna fa parte della vicenda di Gioele e Marco: lo scorrere del Tevere, gli scorci del Ghetto, l’isola Tiberina, il Colosseo, le strade e la luce di Roma non sono soltanto muto scenario, ma parte del sentimento di comunità, di appartenenza che anima i personaggi. Seguiamo i due ragazzi, negli anni in cui da bambini diventano giovani uomini, costretti a una precocissima perdita dell’innocenza, messi a durissima prova dalla consapevolezza del Male, ma sempre fiduciosi non solo l’uno nell’altro, ma anche nella solidità e importanza degli affetti, nel sostegno della famiglia e della comunità (molto interessanti sono le scene collettive, che mostrano la città come un corpo solo, per nulla sottomesso e con una forza nascosta e pronta ad affiorare).

Se l’ombra e il buio si addensano sopra e attorno a loro, c’è sempre una luce-guida negli affetti, nel solidissimo rapporto coi padri, coi fratelli, e anche – per Gioele e il padre costretti a reinventarsi un mestiere, una volta chiuso “per decreto” il negozio di stoffe di famiglia – con l’etica del lavoro, con la necessità delle passioni. Gli eventi storici di quegli anni sono tutti ripercorsi con esattezza, scanditi con efficacia cinematografica: la repressione nel ghetto, la dichiarazione di guerra, i bombardamenti, il ricatto dell’oro alla comunità ebraica, le Fosse Ardeatine, le deportazioni. Ma non diventano mai il centro della narrazione, affidato comunque, sempre, ai sentimenti dei protagonisti, alla loro capacità di resistere, di investire nel bene e nella solidarietà, di non rinunciare all’amore (Marco s’innamorerà della sorella di Gioele, Magda, stringendo un ulteriore legame tra le famiglie, tra le vite: un’ulteriore resistenza al male, alla banalità del male).

La guerra, il regime osceno dei fascisti e poi il terrore nazista porteranno via molte cose a Gioele e Marco, ma non ne appanneranno mai lo spirito, la capacità di conservare un cuore intatto e pieno di grazia. È il messaggio forte e appassionato, che va anche oltre la Giornata della Memoria, per i tempi bui di ogni epoca.

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