Sembra un mondo in espansione quello di Giovanna, “Vanina”Guarrasi, nata dalla fantasia di Cristina Cassar Scalia, oftalmologa e scrittrice netina nella cui narrazione accogliente si accomoda Vanina, vicequestora palermitana in servizio presso la sezione “Reati contro la persona” della Squadra mobile di Catania. E in cui si accomodano i lettori, attirati dalla simpatia di Vanina e interessati alla sua vita, tanto da voler fare insieme a lei, nel viaggio della lettura, i percorsi scabrosi e inquietanti del crimine. Perciò, ecco spiegato il successo del personaggio, al punto che la sua creatrice ha pensato di scrivere un prequel di “Sabbia nera”, primo romanzo della serie di Vanina che presto diventerà un personaggio televisivo, così come merita.
Avevamo lasciato Vanina che in “La carrozza della Santa” (Einaudi 2022) era alle prese con un cadavere trovato in una carrozza senatoriale e per la quale la Cassar Scalia parlava di un’evoluzione come personaggio («Vediamo dove arriva» ci diceva). E, invece, in “Il Re del gelato” (Einaudi), da oggi in libreria, si va indietro nel tempo, come solo la finzione letteraria può fare. «È un’idea già parzialmente sviluppata, semplicemente una finestra sulla Vanina di prima che cominciasse la serie», così la Cassar Scalia che nella nostra conversazione telefonica parla del suo personaggio con affetto, come fosse una figlia. «Tutti i romanzi della serie sono ambientati nel 2016. Ma Vanina è a Catania dal 2015 e in quest’anno ovviamente Vanina lavora ad alcune indagini, una delle quali è “Il Re del gelato”, così ho pensato di raccontarla ai lettori. Anche se cronologicamente faccio un passo indietro, ciò non vuol dire che l’evoluzione di Vanina non andrà avanti…».
L’incipit dei gialli di Cassar Scalia gioca sempre su ciò che è straniante e irrompe nella quotidianità, e stavolta si tratta di qualche pillola trovata nelle vaschette di gelato della bottega di un noto artigiano del settore. Ma poi arriva il delitto e le cose si complicano, bisogna scavare nella vita delle persone, negli intrecci delle relazioni umane, nelle menzogne. E la trentanovenne Vanina, che ha trascorso sei anni all’antimafia, e sa che le menzogne finiscono per portare alla verità, verrà a capo del “mistero” con l’intuito e col metodo.
Ma perché Vanina ha lasciato Milano dove era avviata ad una carriera prestigiosa dal punto di vista professionale e invece di tornare a Palermo, la sua città, va a Catania?
«Per gli amici milanesi Vanina torna in Sicilia, ma come si sa, la Sicilia orientale è ben diversa dalla Sicilia occidentale e Vanina sceglie non solo di trasferirsi in Sicilia ma di “cambiare Sicilia”, per così dire. Dopo tre anni a Milano, dopo la drammatica esperienza di aver salvato la vita al suo ex compagno, il giudice Paolo Malfitano, stare a Catania le pare un modo per mettersi al riparo dalla sua vita passata, anche dal trauma della morte del padre, poliziotto caduto nella lotta contro la mafia».
Dimenticare, per Vanina, è un processo di sottrazione, di semplificazione anche se poi le cose dentro di lei sono sempre così complicate, perché in fondo a lei piacciono le rogne, e “accontentarsi” di casi più comuni potrebbe sembrare voler scegliere una vita più ordinaria, più opaca ma sicuramente più semplice. «Lei ne è convinta quantomeno, al punto che ha sempre paura che qualcuno possa “promuoverla” anche a Catania, per occuparsi di altro, così si dedica con serietà a quelle che dal punto di vista investigativo possono sembrare “fesserie”, ma rispetto alle quali non sente affatto di essere “sprecata” perché l’omicidio comune può essere più complesso del delitto mafioso. E lei usa la sua competenza e il lavoro di squadra per risolvere i casi».
Una squadra variegata, che riconosce in lei il “capo”, a cominciare dall’ispettore capo Spanò, con il quale ha un’intesa speciale, e dai collaboratori, la bresciana ispettora Marta Bonazzoli, l’anatomopatologo Adriano Calì, il capo della Mobile Tito Macchia, sino a tutti gli altri, ben approfonditi psicologicamente, anche quando si tratta di personaggi marginali, perché alla Cassar Scalia, che usa con arte una saporita cifra umoristica nelle battute e nella ordinarietà giornaliera, piace inserire nei suoi romanzi una trama orizzontale.
«Vanina si sta ambientando a Catania – aggiunge la Cassar Scalia – , cerca di conoscerne i ritmi, le “catanesate”, apprezza la brioche col “tuppo” intinto nella granita, le piace che la “Muntagna” sia femmina e intanto si è spostata fuori città, a Santo Stefano, dove crede di ritrovare serenità rispetto alla ferita che la tiene lontana da tutto quel che ama».
È evidente che voglia un gran bene alla sua Vanina, la Cassar Scalia, dal modo in cui ci spiega il suo carattere, anche quella fame imperiosa che la prende e che lei soddisfa con latte e biscotti, cornetti, prodotti di rosticceria, sedute al ristorante. «Vanina è una che non salterebbe mai un pranzo, ovviamente non cucinato da lei perché non sa farlo. Ma ama mangiare, per lei è uno sfogo, come lo sono le sue sigarette. Vanina ha una situazione di fondo inquieta, le sue tristezze segrete, forse perché s’impone una vita che non l’appaga del tutto. E dunque ha bisogno di lasciarsi andare al cibo, agli zuccheri e ai carboidrati, e alle sigarette, cosa che serve a tenere a bada la sua instabilità di fondo, e questa è una sorta di filosofia di vita».
Ma è venuta prima Vanina o Giovanna?
«Vanina. Era il nome che avevo in mente dall’inizio quando da lettrice appassionata di gialli, volendo costruire un’investigatrice (all’epoca prevaleva il personaggio maschile, c’erano poche detective di carta), scelsi il nome di Vanina dandogli pure una giustificazione, in quanto dovuto alle letture alte della madre, e alla Vanina di Stendhal. Poi ho pensato di far derivare Vanina da Giovanna, e ho aggiunto il cognome Guarrasi, tipicamente siciliano e scelto a caso sull’elenco telefonico. Ecco Vanina, che poi diventa più sicilianamente Vannina, come la chiama la vicina di casa Bettina».
Ed ecco servito il giallo, così attento ai dettagli del plot e alla cura linguistica, perché – dice con decisione la Cassar Scalia – «i miei libri sono gialli, né thriller né noir. Mi piace che le situazioni siano realistiche ed è per questo che faccio parlare i personaggi come parlerebbero nella vita di tutti i giorni, tra dialetto, modi di dire, abitudini lessicali». Una scelta meditata che nei dialoghi dal ritmo veloce si dimostra vincente.
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