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Auster e Murakami. Narratori anche da saggisti

Niente nella visione del mondo di Murakami Aruki sfugge all’irrompere del caso nella sua come nella nostra vita. Dallo sport – per lui che è perfino a settantatré anni un appassionato di maratona praticante – alla musica – nei suoi romanzi è imprescindibile il ruolo della “colonna sonora” – alla letteratura – i suoi libri sono una miscela di casualità e caotico a dir poco spiazzante. Verrebbe in mente un romanzo di Paul Auster intitolato appunto «La musica del caso» (1990), soprattutto perché fra i due autori, l’americano e il giapponese, c’è una sorprendente – ma non dichiarata e del resto mai approfondita – affinità creativa, quasi che le opere di entrambi abbiano la stessa dichiarazione d’intenti. Sono due narratori puri, Auster e Murakami, che lungi dall’indugiare nella ricerca stilistica e lessicale (tanto meno sperimentale) s’ingegnano in racconti, storie che pur partendo da un assunto assolutamente realistico e quotidiano, poi s’involano verso il suggestivo, verso l’inconsistenza dell’inaspettato e del magico, se non addirittura del paranormale. Nel contempo, sia Murakami Aruki che Paul Auster, accanto alla produzione creativa, amano concedersi all’impegno saggistico, anche se questo termine quando loro scrivono suona assolutamente riduttivo, talmente forte ed evidente è la presenza del punto di vista soggettivo in ciò che di oggettivo essi stanno ricostruendo.

Prendi «Esperimento di verità» (Einaudi, 2001) in cui Auster esplora la realtà attraverso la sincerità dei suoi più singolari ricordi, oppure «L’arte di correre» (Einaudi, 2009) in cui Murakami parlando della sua passione per la maratona racconta le parti più segrete di sé scrittore. Fino ad arrivare ai più recenti e inconsueti saggi di entrambi, praticamente usciti in contemporanea ( anche questa volta torniamo a riparlare di caso, di coincidenza): «Ragazzo in fiamme» (Einaudi, traduzione di Cristiana Mennella) di Paul Auster e «T – Le mie amate T-shirt» (Einaudi, traduzione di Antonietta Pastore) di Murakami Aruki.

Nel suo monumentale «Ragazzo in fiamme» Auster ricostruisce come un orologiaio alle prese con un bilanciere difettoso la vita e le opere di Stephen Crane, l’autore del «Segno rosso del coraggio». Recensendolo, il grande critico Russell Banks ha confessato: «È il più grande omaggio fatto da uno scrittore a un altro che io abbia mai letto». Ripercorrere l’esistenza martoriata di Stephen Crane serve a Paul Auster oltre che a raccontare il primo autentico “maledetto” della letteratura americana moderna – morto nel 1899 a soli ventotto anni – anche a sognare di realizzare quasi il desiderio di “specchiarsi” in essa.

Sotto sotto, perfino nel “memoriale”, nel “journal intime” di «T – Le mie amate T-shirt», Murakami facendo fare anche a noi lettori un divertito “viaggio nel suo guardaroba”, condivide appunto con chi parte con lui «ricordi e riflessioni attraverso le T-shirt che ha accumulato nel corso degli anni». A parte il godimento che si trae dalla visione di tutti quei colori – l’apparato fotografico è completo e meticoloso come il suo autore – Murakami ci fa comunque capire che quella che ci sta invitando a fare non è una gita in un labirinto mnemonico semplicemente da percorrere, ma che c’è molto di più, un qualcosa che rispecchia l’impegno della sua stessa scrittura.
Nella sua lettera d’amore alle sue magliette, in fondo, egli sta esplorando «il significato che conferiamo agli oggetti che possediamo, e la vita che diamo loro». E viceversa.

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