Donne contro la mafia tra storia vera e finzione, tra Milano e Calabria e con Micaela Ramazzotti e Gaia Girace rispettivamente «madre e figlia coraggio». È quello che accade in «The Good Mothers», la nuova serie originale italiana targata Disney+, in concorso a Berlinale Series alla 73° edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino. Una serie in sei puntate – su Disney+ dal 5 aprile – e dirette, nei primi tre episodi, da Julian Jarrold e, nei restanti da Elisa Amoruso, candidata tra l’altro al Berlinale Series Award, premio istituito quest’anno e il primo dedicato alla serialità nella storia della Berlinale. Com’è questa ’ndrangheta vista dal punto di vista femminile? Un’associazione mafiosa con dentro una sorta cavallo di Troia, ovvero quelle donne cemento della famiglia mafiosa e, proprio per questo, anche capaci di sovvertirla. Basato sull’omonimo bestseller del giornalista Alex Perry, la serie racconta di una giovane e brillante pm, Anna Colace (Barbara Chichiarelli), che ha l’intuizione di attaccare la ’ndrangheta facendo leva proprio sulle sue donne, mogli, madri e amanti dei boss. Tutto parte dalla storia vera della scomparsa nel 2009 di Lea Garofalo (Micaela Ramazzotti), che aveva testimoniato contro il marito Carlo Cosco (l’attore catanzarese Francesco Colella) per iniziare una nuova vita con la figlia Denise (la Gaia Girace de «L’amica geniale»). Man mano che il magistrato si addentra nella ’ndrangheta, scopre le vicende di Giuseppina Pesce (Valentina Bellè) e Concetta Cacciola (Simona di Stefano), due donne molto diverse, ma con la stessa voglia di ribellarsi. «Sono orgogliosa di aver interpretato un personaggio straordinario come la Garofalo che è riuscita a trasmettere i suoi valori e il suo coraggio anche alla figlia che, a sua volta, proprio come lei ha testimoniato» ha detto la Ramazzotti in conferenza stampa a Berlino. Mentre la Girace che interpreta Denise, sua figlia, fa un parallelo con L’Amica Geniale: «Lì c’era la camorra e il solo punto di vista maschile, c’erano armi e droga. Qui le cose si sono ribaltate, ci sono le donne in guerra e c’è anche spero un messaggio di speranza. E poi – continua – Denise rispetto al personaggio di Lila ha voglia di sradicare un sistema, ha voglia di rivalsa. È una che non si piega». Racconta la Bellè della sua esperienza in Calabria per prepararsi al ruolo di Giuseppina Pesce: «Una signora alla quale ho chiesto della ’ndrangheta mi ha subito detto scocciata: ancora questa storia? Non esiste. Poi dopo un po’ si è invece lamentata e ha cominciato a dire che lo Stato aveva abbandonato i suoi compaesani: “Qui non abbiamo nulla, neppure il sindaco e il prete”. È comunque un sistema difficile da sradicare – continua l’attrice – e capisco più chi ci si adegua che chi lo combatte ». Dice, infine, Elisa Amoruso, che è la regista degli ultimi tre episodi, sul significato universale di questa serie, che arriverà in 75 Paesi: «È vero, in una storia così ci si possono riconoscere anche le donne iraniane e comunque tutte le donne in lotta con il patriarcato, è insomma davvero una storia universale».