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L’adolescenza, estate feroce. L'ultimo romanzo della scrittrice catanese Lorena Spampinato

In "Piccole cose connesse al peccato" tre ragazzine in un agosto siciliano ardente, lento e infinito: una storia di legami da sciogliere, di ribellioni da inventare

L’estate, una rete in cui gettare desideri, con la sua ora molle che impasta voluttà e conflitti adolescenziali, in cui il tempo gocciola lento, come nel bel romanzo della giovane scrittrice catanese Lorena Spampinato che con “Piccole cose connesse al peccato” (Feltrinelli), da ieri in libreria – suo quinto romanzo, subito dopo “Il silenzio dell’acciuga” (Nutrimenti, selezione Premio Strega 2020) – snoda quella matassa intricata che è l’adolescenza, con la storia di tre figlie e di tre madri ambientata in un paese di mare della provincia messinese, Letojanni, mai nominato ma riconoscibile nella geografia ariosa del romanzo, lo stesso dove la Spampinato ha trascorso le sue estati.

L’estate, un reliquiario bellissimo e atroce, come le case sconnesse in cui si è vissuta quella stagione, case parlanti, che la Spampinato penetra con una scrittura matura e curata. C’è un’aria di segreto in questa storia (e il fulmen in clausula finale lo rivela) dove contano le intermittenze del cuore, spesso ingannevoli come il mare che fa da quinta maestosa a quei giorni d’estate dove tutto si assorbe e tutto si elimina. Tempo sospeso e malioso, quando «si crede di non aver niente da perdere a provare tutto», «come se una natura sconosciuta si impadronisse della coscienza e del corpo»,quando è bello e terribile esplorare le soglie, i confini e «lo sguardo impetuoso della disobbedienza, del divertimento insieme all’urgenza di amare è la cosa più viva, la più feroce».

L’estate che esplode sulla pelle di corpi ancora imperfetti come quelli di Enza, Anna e Bruna, cui fanno da contrappunto le madri Angela, Rita, Mela, le stesse che in un modo o nell’altro, scrive Lorena, «scavano abissi – precipizi, burroni – e noi ci cadiamo dentro per tutta la vita». Enza e Annina sono due cugine, che dalla vacanza nella casa di famiglia che respira umidità, cigolii e fantasmi si aspettano solo noia e litigi con la madre di Enza. E invece con Bruna, coetanea di paese, più smaliziata, scoprono di poter vivere quell’avventura di cui sentono oscuramente la necessità. Cosa che provoca conflitto con le madri, rivalità tra le ragazze e confronto spericolato con i ragazzi scapestrati del paese. Forse pretendiamo troppo da quella burrasca che è l’adolescenza, forse gli adulti dimenticano la loro stessa adolescenza di curiosità torbide e vorrebbero per i figli un’adolescenza addomesticata: sono spesso madri che fanno i figli e disarmano i figli che non possono, a quell’età, non sentirsi fuori posto, inadeguati, come Enza, Annina e Bruna.

L’estate, un sogno inquieto che dura poche ore, con i suoi primi perigliosi incanti da vivere tra le crepe del presente di ogni famiglia, con le sue tristezze («mai si penserebbe – dice Annina, voce narrante del romanzo – , quanto può essere triste, ridicola, disperata, una mattina d’estate quando si è solo ragazze»), con la sua avventura, prima che le «nostre ombre adulte» precipitino dall’alto, prima che «la nostra estate – la nostra bella estate – si dissolva così».

Lorena qual è stato l’embrione di questo romanzo?
«È stata un’immagine che mi è venuta in mente qualche anno fa. Avevo circa 6 anni quando nel paese in cui è ambientato il romanzo, lo stesso in cui c’è una casa della mia famiglia, avvenne un fatto drammatico relativo a un’adolescente. Un fatto di cui da bambina non capivo la portata e che non finì in tragedia. Ma che poi ritornatomi in mente leggendo “Il pozzo dove cadono le donne” di Natalia Ginzburg e Alba de Cespedes, è diventato il nucleo del romanzo. Ecco, il fatto che le donne hanno l’abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, e che quei pozzi molto spesso li scavano le madri, mi ha fatto scrivere di Enza, Annina e Bruna e delle loro madri».

Madri e non padri, appunto.
«Quando ero adolescente sentivo che nei conflitti tra madri e figlie si scavano abissi, e i padri si salvano perché sono assenti, come accade nel romanzo. Poi ho realizzato che quei conflitti servono per crescere, servono alle figlie per “allontanarsi” dalla madre e diventare adulte. Abbiamo fatto noi ragazze quello che i maschi fanno col padre. Capire questo è stata come un’epifania dell’età adulta».

I conflitti però sono trasversali alle ragazze e ai ragazzi, tra rivalità, invidia, affezioni morbose, tutto esasperato dalla dimensione soffocante del paese.
«Io racconto gli anni ’90 e, attraverso Annina, quella spinta a rivaleggiare, amica con amica, cugina con cugina, figlia con madre (nel caso di Enza), le ragazze con i ragazzi, socialmente modesti rispetto alle borghesi Enza e Annina. E ciò innesca una serie di rivalità che porteranno all’epilogo della storia. Però io credo che proprio quella rivalità ha portato noi ragazze a volere di più da noi stesse, un pungolo per essere migliori, un po’ come avviene nell’ “Amica geniale”. Certo, lo si capisce dopo, come fa Annina, al momento magari si fanno disastri, quelli che le famiglie cercano di scansare».

Tempo e spazio sono le categorie che costituiscono l’ossatura del romanzo.
«Il tempo della storia è dilatato rispetto al fuggevole agosto, poco meno di un mese che sembra una vita, così come quando, in un capitolo, racconto una notte. Volevo dare questa idea di sospensione, entrare in quel vissuto che non finiva mai, come una musica che non finisce. E ciò nel perimetro chiuso del paese, la casa, la cantina, la piazza. Certo, c’è pure una Sicilia guardata con gli occhi dell’adolescenza, le feste di paese, la spiaggia».

Molto importante il tema del corpo.
«È l’età della scoperta e il corpo diventa nell’adolescenza l’incontro, con se stessi e con gli altri. Un corpo che quando Enza e Annina incontrano i ragazzi, più rozzi, si gualcisce, ma ciò è bene che avvenga».

Eppure, Lorena, in questo confronto madri-figlie, c’è una certa pietas per le madri.
«È un tema che mi sta molto a cuore, da quando sono diventata madre anch’io. Ho presentato tre tipologie di madri, Mela anaffettiva e feroce, Rita ricattatoria e colpevolizzante, Angela che vive con molta ambivalenza il rapporto con la figlia e la bellezza di entrambe. Diventare madre è fare i conti con l’essere figlia, anche quando si è madri non si smette mai di essere figlia».

Lorena, come ci si salva dall’adolescenza?
«È un tempo così conflittuale che in narrativa diventa florido, un territorio da percorrere. Si abbandona l’infanzia e si mettono in dubbio tutte le regole fino ad allora impartite dagli adulti, tutte le credenze fino ad allora apprese. Ecco perché l’adolescenza è sempre fresca, un nucleo forte che rimane anche quando si è adulti».

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