Può un piccolo libro soddisfare il nostro bisogno di saperne di più sulla natura più profonda, sull’anima addirittura d’un intero Paese? La risposta a questa domanda ce la fornisce il breve diario di viaggio del giornalista e scrittore irlandese Lafcadio Hearn, il quale il 4 aprile del 1890 sbarca a Yokohama e ne rimane folgorato. «Il mio primo giorno in Giappone» è uno dei “Microgrammi” Adelphi, che aveva già pubblicato di Hearn nel 2018 «Ombre giapponesi». Ottavio Fatica – che ha curato entrambi i volumi – chiarisce: «Dopo una vita trascorsa a scrivere pezzi di cronaca nera, la più truce, come saggi sull’arte, la letteratura, la filosofia, la religione, nella loro espressione più rara e rarefatta, e a vagabondare dalla Grecia all’Irlanda, all’America del Nord e alle Antille, a 40 anni il nostro nomade civilizzato si era imbarcato per il Giappone con in mente l’idea di un libro-reportage su un Paese allora di moda ma terra ancora quasi incognita per l’Occidente». Bastano 24 ore a Hearn per capire tutto, come se fosse stato folgorato, travolto e affascinato dall’aura stessa del luogo a lungo cercato: «Il primo incanto del Giappone è impalpabile e volatile come un profumo». D’altra parte è questa la terra che Hearn eleggerà a propria patria, una terra in cui si sposerà e finirà col vivere fino alla morte, dopo avere addirittura preso la cittadinanza giapponese col nuovo nome di Yakumo Koizumi, col quale diventerà celebre come scrittore pubblicando libri di narrativa, tradotti anche in italiano, come «Al mercato dei morti: storie di spettri giapponesi», o «Le farfalle danzano e le formiche si ingegnano». Nel «Mio primo giorno in Giappone» ciò che colpisce fin dall’inizio la sensibilità dell’autore è l’impatto con gli ideogrammi per le strade: «… in ogni pennellata c’è una segreta arte inaccessibile fatta di grazia». L’incontro con questa cultura esistenziale mette presto Hearn nella condizione di fare un raffronto con la filosofia occidentale e con la sua profonda diversità: «È un mondo dove la terra, la vita e il cielo non somigliano a niente di quello che si è conosciuto altrove». Ma le prime 24 ore a Yokohama regalano a Hearn la certezza che quello che sta compiendo è il raggiungimento d’una mèta spirituale, prima ancora che antropologica o semplicemente folcloristica. L’obiettivo sembra raggiunto quando l’autore entra nel tempio dedicato a Buddha e “vive” le varie fasi un’ascesi. Una scalinata impervia, una prova, una volta compiuta la quale si ritroverà di fronte a uno specchio: «A simboleggiare cosa? L’illusione? O che l’universo esiste per noi unicamente come riflesso della nostra anima? (…) Forse un giorno sarò in grado di scoprire tutte questa cose».