Ma quanto è bella la lingua italiana, quella che cresce con la letteratura, che s’innerva attraverso i mutamenti sociali e l’incontro tra gli umani, quella che attraverso i giganti della letteratura «ha riscoperto il mondo e contemporaneamente ne ha creato un altro», come ha fatto Dante secondo il giudizio di Erich Auerbach. Della sua grande bellezza scrive il linguista e storico della letteratura Giuseppe Patota, direttore scientifico del Nuovo Dizionario Treccani nella cui edizione aggiornata, d’accordo con Valeria Della Valle, direttrice con lui del progetto, ha dato vita a una “rivoluzione”: la forma femminile di aggettivi e nomi autonoma e precedente rispetto al maschile. Anche se il professor Patota chiarisce che non si è trattato di “cavalleria” linguistica, bensì di rispetto dell’ordine alfabetico. Ma il fatto che «quando diciamo “bella” constatiamo che è il femminile di “bello” e non il contrario, insieme ad altri usi linguistici (perché non dovrebbe suonar bene “avvocata”, visto che c’è nel Salve Regina?) vuol dire che le cose stanno cambiando». Parlare di lingua, parlare di Italiano, è un’occasione da non perdere, perciò l’ultimo studio del professor Patota, “Lezioni di Italiano” (il Mulino), dedicato alla memoria di Luca Serianni, scritto con il rigore dello studioso ma con l’obiettivo di rivolgersi a un pubblico ampio, ci fa riconciliare con quel che la lingua stessa ha perso nello svilimento generale, la dimensione della testualità e la potenza della parola. Così, con Dante, Machiavelli, Galileo, Leopardi e Manzoni si comprende come la grammatica dell’esistenza stessa sia stata rivoluzionata dalle innovazioni di questi geni. La Commedia scritta in «un fiorentino più vicino all’italiano di oggi che al fiorentino di oggi» contiene già tutta la lingua e la letteratura italiana; la Mandragola di Machiavelli, «la più bella commedia italiana», è un affresco dell’umano espresso in un fiorentino di eccezionale ricchezza. Quanto a Galileo, la sua scelta di scrivere opere scientifiche in italiano, e non in latino, è un’operazione comunicativa rivoluzionaria, «sociolinguistica prima ancora che linguistica». Cui fa seguito la limpidezza dei Canti leopardiani, esempi di come Giacomo «percepita l’insufficienza della lingua poetica tradizionale, s’impegnò a rinnovarla senza mai allontanarsene del tutto». Manzoni poi, con la sua esigenza di diffondere la letteratura e la lingua presso ampie fasce di popolazione, attraverso la “risciacquatura” del suo romanzo, è un esempio di etica linguistica sia per la “democraticità” del linguaggio sia per l’attualità dei contenuti (Patota, soffermandosi sui due capitoli della peste manzoniana, indica come alcuni passaggi potrebbero intitolarsi Paziente zero, Negazionismo, Mercato dei falsi green pass, Riduzionismo e Complottismo…). Cinque dotte lezioni cui seguono altre cinque dedicate – dice Patota – «ad alcuni strumenti, il vocabolario, il libro di grammatica, le parole e i segni che collegano le parti di cui si compone un testo, che aiutano a riflettere non solo sui meccanismi di funzionamento dell’italiano, ma anche sull’utilizzazione di questa lingua a fini d’arte, e tutte e dieci per dar conto della lingua attraverso la letteratura e della letteratura attraverso la lingua».