Si parla di potere spirituale e temporale, senso di servizio e responsabilità come di regole e libera interpretazione delle stesse, in un testo che fra documento storico, dramma e humor, mette campo quelle contraddizioni che per la loro eccezionalità fanno Storia. “I due Papi” di Anthony McCarten, concepito inizialmente per il teatro, ma già rappresentato al cinema nell’omonimo film Netflix di Fernando Meirelles, è approdato ieri al Cine Teatro Apollo di Crotone per “Crotone... Voglia di Teatro” e stasera chiuderà la stagione 2023 della “Rassegna L’AltroTeatro” al Rendano di Cosenza, dopo il recente successo alla Sala Umberto di Roma. Diretto da Giancarlo Nicoletti, unica produzione del testo al mondo autorizzato dall’autore, ripercorre i giorni frenetici che portarono alla storica rinuncia di Benedetto XVI e all’elezione del cardinale Jorge Maria Bergoglio come nuovo pontefice. La pièce, tra verità storica e adattamento teatrale, pone in primo piano due personalità agli antipodi, che fra tradizione e innovazione si confrontano su dogmi, idee, dubbi personali, trovando nella loro diversità la chiave di volta per far evolvere la Chiesa. Ratzinger e Bergoglio sono sulla scena Giorgio Colangeli e Mariano Rigillo, affiancati da Anna Teresa Rossini, Ira Fronten e Alessandro Giova. «Nonostante l’opposta concezione della teologia, Ratzinger sente il fascino di un pensiero diverso dal suo – ci dice Rigillo - e quasi si irrita nel comprendere che Bergoglio, con la sua irruenza ragionata, tocca argomenti che hanno un loro fondamento e andrebbero vagliati attentamente per capire se la sua interpretazione della teologia non sia più giusta in rapporto al momento storico. Intuisce che il suo pensiero rischia di portare indietro la chiesa di cent’anni e dice a Bergoglio “se tu ti dimetti da cardinale io non posso dimettermi da Papa, perché sei l’unica persona che può succedermi”». Due personalità agli antipodi, ma in fondo con qualche punto in comune. Com’è il suo Bergoglio? «È un uomo che vuole tornare a essere un prete fra la povera gente del suo Paese, dopo aver proibito di stare tra i poveri ai gesuiti Padre Yorio e Padre Jalics, che furono sequestrati e torturati dal regime di Videla. Sente il peso di aver commesso questo grave errore, un enorme peccato. Nel dialogo con Ratzinger infatti parla della sua gioventù e del sentimento di inadeguatezza a essere Papa per quel suo comportamento. Ma con garbo Benedetto XVI lo costringe a confessarsi e lo perdona. Anche Ratzinger si confessa a Bergoglio e accusa tutta la sua debolezza nei confronti dei preti pedofili. Bergoglio non dice “io ti perdono” ma “spero che Dio ti possa perdonare”. Gli dà l’assoluzione sul piano personale. Queste due confessioni sono il perno della seconda parte del testo». Il testo pone quindi l’interrogativo universale sull’opportunità di seguire le regole o la propria coscienza nei momenti di crisi, secondo le necessità della contingenza storica? «Sono tematiche che vanno oltre l’aspetto spirituale e toccano il potere temporale, come dimostra la stessa dimissione di Ratzinger che afferma di non poter guidare più la Chiesa perché non sente più la voce di Dio. In generale però il testo ha uno sguardo di simpatia per Bergoglio in un momento in cui la Chiesa deve trovare la sua direzione nel Terzo Millennio. Infatti Bergoglio dice “perché dobbiamo rimanere ancorati nel porto in cui siamo già protetti da tanto tempo e non prendere il largo nel mondo di oggi?”. Concetto importantissimo, perché la Chiesa deve tentare di stare nel suo tempo, ed essere davanti e non dietro alla gente». La forza del testo risiede quindi anche nel delineare quale possa essere il compito della Chiesa oggi? «Proprio così. La Chiesa deve sapere individuare qual è il senso moderno del procedere della Storia, vivere a contatto con storici e scienziati abbattendo la diga fra scienza e religione. Deve far sentire il religioso uomo del suo tempo, dargli la forza per resistere anche al male del mondo».