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Tragedie di Siracusa, la ricerca de “La pace” dalla notte dei tempi

Stasera prima assoluta in 109 anni al Teatro Greco, per la regia di Daniele Salvo

L'irraggiungibilità della pace da parte di una società corrotta di uomini talmente stupidi e ottusi che si fanno continuamente la guerra su tutto. Grande attualità per la terza produzione della Fondazione Inda nella 58esima stagione di rappresentazioni classiche al Teatro Greco di Siracusa. Dopo Prometeo Incatenato di Eschilo, per la regia di Leo Muscato, e Medea di Euripide, affidato a Federico Tiezzi, per la prima volta assoluta, in 109 anni di spettacoli messi in scena, debutta stasera la commedia “La Pace” di Aristofane. La regia è di Daniele Salvo, che dopo quattro tragedie nell’antica cavea, è stato chiamato dall’Inda per la quinta volta per dirigere una commedia originale e sorprendente.
«La Pace è un testo asimmetrico, complesso, difficile, che pone non pochi problemi di rappresentazione, e quasi giudicato irrappresentabile. E infatti in pochi l'hanno fatto in Italia, magari rappresentando solo una parte del testo e appiccicando finali diversi presi da altri testi di Aristofane. Proprio perché il testo è veramente bizzarro anche per i canoni di Aristofane. E poi prevede il coinvolgimento di un cast importante, quasi 60 attori anche sul palco contemporaneamente».
Riduttivo definirla solo una commedia?
«È uno dei testi più visionari di Aristofane e comprende la compresenza di generi: tragedia, commedia, commedia musicale. Ci sono tante cose dentro. Un testo spiazzante. Aristofane è il Tim Burton dell’antichità: crea dei mondi, dei sistemi solari, è un autore straordinario. Ci sono dei continui passaggi dal comico al tragico, dalla musica alla canzone. È una commistione piuttosto originale di un genere che non si può definire solo commedia. Ci sono anche concetti molto pregnanti e importanti nel testo».
Un testo drammaticamente contemporaneo?
«Ci sono delle connessioni impressionanti. Il tema della irraggiungibilità della pace da parte di una società corrotta; c'è il discorso dello straniero, della diffidenza verso lo straniero; c'è il discorso del ritorno alla natura, quindi al green. Voler ritornare alla situazione della pace in una situazione anteriore che c'era prima della guerra: non dimentichiamo che qui si intende la guerra del Peloponneso, una guerra infinita per i greci, la guerra delle guerre. E poi c'è una critica alla corruzione del mondo teatrale dell’epoca. Aristofane parla direttamente: entra in scena e dice di essere un autore vero, autore serio, non come i colleghi che vanno nelle palestre a sedurre i ragazzi. Naturalmente lui criticava Socrate. C'è il mercante d'armi che entra in scena, si lamenta che non vende più le armi perché gli affari sono finiti, quindi lui va in rovina. Ci sono delle cose incredibili veramente».
Nel ruolo del protagonista Trigeo reciterà un attore di grande popolarità, Giuseppe Battiston, al suo esordio al Teatro Greco.
«Sì, diciamo un'intuizione felice perché Battiston è un attore di grande levità, quasi mozartiana direi: io avevo bisogno di un attore così per questa commedia proprio perché non volevo una comicità greve, volgare, televisiva. Volevo che questo personaggio di Trigeo, vignaiolo dell'Africa, avesse un cantore importante. Aristofane individua i contadini come gli unici in grado di poter liberare la pace dalla grotta in cui sono stati rinchiusi. Gli dei se ne sono andati, non ci sono più gli dei sull’Olimpo. C'è la visione di questi contadini idealizzata, quasi pasoliniana. Il contadino come depositario di una cultura perduta. Il contadino poeta penso a Tonino Guerra. Penso a quel tipo di cultura che oggi non esiste più».
Ci dovremmo aspettare una particolare scenografia?
«La scena è concepita su più livelli: c'è il mondo di sotto, il mondo della terra, e il mondo dell’Olimpo. E poi c'è il volo dello scarabeo: il testo comincia con questo vignaiolo che addomestica uno scarabeo stercorario, perché Atene è affogata negli odori della guerra, degli escrementi, della sopraffazione, della corruzione degli uomini. E vola su questo Olimpo che è specchiante, cristallino, abbandonato dagli dei, a bordo di uno scarabeo. È un inizio molto noto e molto spettacolare».

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