«Parole, parole, parole, sempre parole, misurate e di grande civiltà». Quelle pronunciate da Luciano Rispoli, monumento della tv, assieme alla parabola della sua esperienza umana e professionale, vengono fermate in un libro che è insieme memoria e testimonianza, dell’uomo e del suo talento creativo, ma anche di un pezzo d’Italia, della storia stessa della televisione e di come eravamo. Lo ha scritto per i 90 anni dalla nascita di Luciano Rispoli (Reggio Calabria, 12 luglio 1932 – Roma, 26 ottobre 2016) Mariano Sabatini, giornalista, scrittore e autore tv, e, inoltre, allievo e collaboratore di Rispoli per il quale Fiorello, nell’ultima puntata di “VivaRaiplay”, aveva rilanciato la vecchia idea di Sabatini di intitolare uno studio della Rai a Luciano Rispoli. E per Rispoli– calabrese di Reggio, ma che visse con la famiglia dal 1946 al 1952 a Soverato – Sabatini (premio Flaiano per il romanzo «L’inganno dell’ippocastano», Salani 2016) ebbe un vero e proprio colpo di fulmine quando, quattordicenne, attendeva ogni sera «Parola mia», il programma televisivo a quiz che aveva fatto diventare la lingua italiana uno spettacolo, avviando generazioni di giovani – e non solo – alla conoscenza e all’amore per la nostra lingua. Insieme al salotto buono di «Tappeto volante» per Tmc, «Parola mia» fu il format geniale e colto (presenza fissa era il linguista Gian Luigi Beccaria) che portò in casa degli italiani quell’uomo perbene dall’accento nasale che esprimeva il meglio di una tv volta alla promozione culturale (Rispoli è stato anche direttore del Dipartimento Scuola Educazione della Rai). Ma quel che è stato Luciano Rispoli, il suo guardare avanti, i tanti format da lui ideati, a cominciare dalla sua azione pioniera attraverso le Radiotelesquadre assieme ad Enzo Tortora, Renato Tagliani, Silvio Noto (si andava in giro per l’Italia degli anni ‘60 su pulmini-palcoscenico ad organizzare spettacoli di piazza con la tuta della Rai, per indurre la gente ad abbonarsi alla Rai) fino alla fortunata trasmissione radiofonica «Chiamate Roma 3131» (aveva capito prima di tutti l’importanza del telefono per comunicare con la gente), da «Piccola ribalta» con cui si affacciò per la prima volta sui teleschermi al memorabile «Gioco dei mestieri», dal primo talkshow con «L’ospite delle due» al primo cooking show del piccolo schermo, ovvero «Colazione allo Studio 7», passa in questo libro «non certo esaustivo – scrive Sabatini – della lunga carriera di Rispoli». Un volume che è anche una «collazione di esperienze radiotelevisive», con riferimenti a fatti, trame e persone indimenticabili, e in calce splendide foto della famiglia Rispoli. Sicuramente un doveroso riconoscimento per colui che Sabatini considera “suo padre elettivo”, per «dare a Luciano ciò che sovente non gli è stato riconosciuto, ricevendo molto, certo, benché non quanto avrebbe dovuto», ma non un’agiografia di questo borghese dalla vita privata riservata e dalle grandi capacità comunicative, di cui si mette in luce l’infaticabile passione creativa, senza tralasciare «di far notare le zone d’ombra, le rigidità, le fragilità». Lungo sarebbe ricordare i suoi sessant’anni di carriera sin da quando era entrato alla Rai nel 1954 dopo un concorso per radiocronisti. Tanti i personaggi “scoperti” e lanciati da colui che Sabatini definisce «rabdomante del talento altrui» (a Raffaella Carrà diede il primo programma radiofonico e un pesante registratore con il quale andava in giro a registrare interviste), avendo Rispoli “scoperto” e lanciato molti personaggi, da Paolo Villaggio a Paolo Limiti, da Gianni Boncompagni a Maria Giovanna Elmi, da Rita Forte (grazie alla quale divenne “zio Luciano”) a Roberta Capua, da Mario Lubrano a Paola Saluzzi, a Rosanna Lambertucci e tanti altri ancora.