La Primavera del Cinema Italiano oggi ospiterà “l’archeologo della moda” Massimo Cantini Parrini, il più grande costumista italiano. L’unico ad aver vinto cinque David di Donatello. Capace di rileggere le epoche storiche con chiavi diverse, dal barocco delle favole alla realtà italiana di fine anni 70, esaltando il corpo e la personalità degli attori. ù Massimo Cantini Parrini – che alle 17 nella sede di Moema Academy terrà la masterclass «I costumi di scena nel cinema» e alle 20 parteciperà al Cinema San Nicola a un incontro coi produttori Gregorio Paonessa e Marta Donzelli, della Vivo Film, prima della proiezione di “Chiara” (2022) di Susanna Nicchiarelli – è un perfezionista assoluto. La riconoscibile e geniale cifra stilistica che lo contraddistingue sposa tradizione e innovazione. E la sua capacità viene fuori dai costumi tradizionali, stupendi e impeccabili, e da originalità e capacità di rendere un costume contemporaneo scegliendo tessuti e disegni molto semplici. «La passione per il mestiere di costumista e la passione per il cinema sono sempre state ben distinte. Nate in due momenti diversi – racconta Cantini Parrini – . Quella per l'abbigliamento è arrivata frequentando la sartoria dove mia nonna materna lavorava. Vedere da bambino quelle stoffe che da bidimensionali, arrotolate sul tavolo, diventavano tridimensionali sul manichino era magia. Una magia che si è trasformata in amore per l’abito. Così ho iniziato a collezionare abiti d’epoca, dapprima trovati in casa e in famiglia, poi sui mercati d’antiquariato. È da questo lato archeologico della moda e dell’abbigliamento che è nato il mestiere di costumista che è si è affinato attraverso gli studi, il centro sperimentale, l’incontro con Piero Tosi. E questo amore che avevo per il passato ho capito che poteva trasformarsi in un mestiere. Non ho mai voluto fare lo stilista. Non ho mai avuto voglia di affrontare quel mondo più effimero del mio. Il cinema per me è realizzare un sogno. Dare concretezza a tutto ciò che ho studiato, al mio bagaglio culturale, alla mia passione nella ricreazione di abiti». Già, perché lui lo precisa: «Non credo nel verbo creare, quando si tratta di abbigliamento. Io ricreo un mondo passato, un mondo che non esiste più e che poi si trasforma magicamente sullo schermo e aiuta l’attore a entrare nel personaggio e lo spettatore a calarsi in un mondo fatto di magia. Per me, nel cinema è molto importante anche sapere chi saranno gli attori che indosseranno i miei costumi. È fondamentale, creando un costume, poter unire una fisicità a un volto. Vengo dalla scuola di Piero Tosi, porto avanti quel linguaggio filologico che evita la tecnologia, parte dalla ricerca storica, dalla visita ai musei che per me è imprescindibile anche per progetti contemporanei. Anche la fotografia, magari di un’epoca. La realtà, anche in progetti di fantasia, è la mia ispirazione principale. E poi mi faccio ispirare dall'antico, non perdo una mostra e quando inizio un nuovo film – spiega – vado da solo in quei tre o quattro musei fondamentali per quella storia. Il mio favorito a prescindere? La Galleria Nazionale di Arte Moderna a Roma». Per Cantini Parrini, lo studio è la base per il suo mestiere: «Lo dico sempre a chi mi contatta e vuole consigli. Faccio sovente l'esempio di Picasso che inventò il cubismo, ma non lo inventò dal nulla. Sapeva disegnare. Inventò il cubismo avendo delle forti basi di disegno. Ed è proprio questo sapere, questa conoscenza profonda, la forza di un costumista. Conoscere il periodo che bisogna rappresentare in modo da trarne l'essenza e farla propria, e successivamente farla arrivare sullo schermo. Quindi lo studio è fondamentale. La passione è fondamentale. Ed è fondamentale non giudicare e non soffermarsi sul concetto di bello o brutto perché è un concetto molto soggettivo. Ideare una personalità, delinearne i tratti, plasmarne l’essenza perché è tutto questo che arriva al pubblico. Il bello e il brutto non arrivano mai!».