Nell’immaginario collettivo l’Italia ha oramai una sua definizione scontata: «il Paese dove se scavi nell’orto trovi i resti di una tomba romana». E non si intendono, ovviamente, i famosi Horti Farnesiani che il cardinale Alessandro Farnese allestì sugli antichi ruderi del Palatino nella metà del Cinquecento. Orto nel senso proprio della parola, come si potrebbe dire cantina o garage o fondamenta di case qualsiasi. I ritrovamenti sono all’ordine del giorno. A metà secolo scorso chi sospettava che il Palatino nascondesse ancora, oltre la celeberrima Domus aurea di Nerone, una Domus di Tiberio, estesa su circa 4 ettari? E’ dal 1970 che gli scavi nel Parco archeologico del Colosseo lo hanno rivelato. Lavori giganteschi e complessi che richiesero molti anni. L’apertura del sito al pubblico avviene ora, con l’aggiunta di un nuovo percorso che, partendo dal Clivo della Vittoria, rende visitabili altre sei sale.
La mostra «Domus tiberiana, Imago Imperii» organizzata da Electa, che ne firma il catalogo, a cura di Alfonsina Russo, Maria Grazia Filetici, Martina Almonte, Fulvio Coletti, allestita nel Parco archeologico del Colosseo, ne racconta la storia. E’ accompagnata dall’omonimo volume pubblicato da Electa, una guida aggiornatissima del palazzo imperiale, rendendo conto anche dei ritrovamenti degli ultimi decenni. Si tratta della prima vera dimora imperiale, edificata dall’imperatore Tiberio sul lato occidentale del Palatino (nome derivante appunto da “palazzo”). Per quanto i suoi resti siano imponenti, soprattutto dalla parte del Foro Romano dove si innalza – con una serie di archi sovrapposti – per un’altezza di circa venti metri, la Domus tiberiana, non è, per architettura e cronologia, un edificio unitario. Si formò progressivamente grazie a una serie di aggiunte, operate dopo Tiberio. I suoi fasti avrebbero avuto fine quando Nerone si accinse a costruire lì accanto la sua personale Domus, di lusso così sfrenato da definirsi come si sa Aurea.
Il decadimento della Domus tiberiana non fu però improvviso. Nell’VIII secolo d.C. era ancora così ben conservata da essere scelta come dimora dal pontefice Giovanni VII (650-707 d.C.) che la restaurò per abitarci. Ma a partire dal X secolo, il palazzo oramai completamente abbandonato, i suoi materiali vennero depredati e usati per farne calce. Dopo altre vicissitudini, alla metà del Cinquecento i resti della Domus, obliterati da quei celeberrimi Horti Farnesiani del cardinale Alessandro Farnese, divennero luogo lussureggiante di delizie, come ne danno prova ritrovamenti del tutto imprevedibili, vedi i resti di alcune ostriche risalenti ai goduriosi banchetti dell’epoca. Alla fine, scavi dopo scavi, il complesso incominciò a riconfigurarsi nella sua originaria grandiosità .
Il percorso della visita attuale, che si sviluppa nelle viscere del palazzo imperiale oltrepassando le poderose arcate del quartiere dei servizi, si articola in 13 sale, di cui quattro espositive comunicanti tra loro, con affaccio privilegiato sul Foro Romano. Sul fronte opposto, due sale multimediali ospitano un documentario e la ricostruzione olografica del monumento. L’allestimento della mostra, di carattere permanente, si articola secondo una visione tematica all’interno degli ambienti destinati ai servizi, alle botteghe per la vendita al dettaglio. È in questo percorso che per il visitatore avviene l’approccio “fisico” con la vita che si svolgeva a corte, grazie alla selezione delle centinaia di reperti di ceramica, metallo e vetro, vasellame, monete testimoni delle transazioni economiche, sontuosi arredi, merci e consumi messi in luce negli ultimi 30 anni. All’interno come all’esterno gli spazi sono sapientemente illuminati da Acea, che assicura la sponsorizzazione tecnica artistica ed archeologica di Roma. Grande l’attenzione all’accessibilità.
Se la poderosa opera degli scavi restituisce gli ambienti nella loro verità storica, è l’emozione fisica del percorso attraverso gli ambienti reali a costituire l’attrattiva più grande della mostra. Qui gli uomini più potenti del mondo passeggiavano (e tramavano) compiacendosi della magnificenza del loro potere. Sic transit...
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