Mi è capitato spesso di pensare a umani di futuri e lontani millenni che si imbattono in resti incomprensibili della nostra attuale civiltà, nel frattempo andata distrutta (pur facendo gli scongiuri, non possiamo negare di trovarci in un mondo con tendenze all’autodistruzione) e, molto perplessi, si imbattono in una “cancellatura” di Emilio Isgrò. Per quanto l’arte concettuale sia spesso considerata ermetica, sono convinto che invece quella dell’artista siciliano (nato a Barcellona Pozzo di Gotto e recentemente insignito della cittadinanza onoraria di San Pier Niceto) sia molto chiara. Pur ponendo domande piuttosto che fornire risposte, come è compito dell’arte in generale (quella che pretende di dare risposte, in genere è asservita al potere di turno), attraversa la nostra storia delle idee. Ecco, quindi, che i futuri umani potrebbero utilizzare l’opera di Isgrò più o meno come la Stele di Rosetta, che ci ha consentito di interpretare il linguaggio altrimenti misterioso degli Egizi.
Questo pensiero mi è tornato in mente in modo prepotente in occasione della mostra di Isgrò in corso a Carpi fino al 10 dicembre. Intitolata “Il sillogismo del cavallo” (dal titolo di un’opera inedita), curata da Chiara Gatti e Marco Bazzini e prodotta dal Comune di Carpi – Musei di Palazzo dei Pio, con il contributo di Fondazione Cassa Risparmio di Carpi e la collaborazione dell’Archivio Emilio Isgrò – l’esposizione è allestita nel loggiato di Palazzo dei Pio e si inserisce nel programma di “Festivalfilosofia”, in scena tra Modena, Carpi e Sassuolo, con il tema “Parola”.
Sono 47 opere, tutte legate al mondo della filosofia, con cui l’artista ha sempre avuto un intenso rapporto fin dagli anni Sessanta. “Cancellando” filosofi di tutti i tempi, da Aristotele e Platone a Sartre e Benedetto Croce, ha creato un cammino che può essere definito un “corpo a corpo” con dottrine, interpretazioni e modi di intendere la vita. Ecco perché le sue opere potrebbero funzionare da Stele di Rosetta.
Nell’interessante catalogo che accompagna la mostra, lo stesso Isgrò scrive che «sarà automatico il sospetto che l’arte sia fondata sul fraintendimento assoluto del mondo e dei linguaggi umani». Per quanto sia anche vero, è meglio non lasciarci ingannare. Bazzini, sempre in catalogo, ricorda che «per cancellare bisogna leggere, così come per scrivere è necessario cancellare». E se, come sappiamo, la parola può essere estremamente ingannevole, può accadere che la cancellatura pittorica diventi costruttiva, se non addirittura esplicativa. Allora il sillogismo, che è definibile come una connessione di idee, diventa la rappresentazione di un’altra realtà possibile. Come accade nell’opera che dà il titolo alla mostra, dove la coda in uscita trascina il cavallo in entrata.
Proviamo a capire meglio. In una conversazione con Isgrò, può capitare facilmente che si arrivi alla citazione di Gorgia da Lentini, filosofo sofista dell’antica Sicilia greca, insomma un suo antico e famoso corregionale. Sì, proprio colui il quale sosteneva che nessuna cosa esisteva, che anche se fosse esistita non la si sarebbe potuta conoscere, che se anche la si fosse conosciuta non si sarebbe potuta comunicare tale conoscenza agli altri. Visto che considerava l’oratoria (e quindi almeno un po’ anche la scrittura) l’arte della persuasione a prescindere dalla verità, si può aggiungere che, a distanza di tempo, con la sua triplice negazione di tutto, sia ancora una specie di nume tutelare della cancellazione della verità, sia che essa sia assoluta sia che si presenti come la teoria di un filosofo. Del resto (e qui non può esserci dubbio) le cancellature sono infinite.
Insomma, in tutto il percorso della mostra si succedono verità che si frantumano e opinioni che sembrano verità. E l’unica verità possibile, proprio come vuole Isgrò (non a caso anche poeta, drammaturgo e scrittore), è la semina del dubbio, già un bel passo in avanti rispetto alla negazione della verità. In questo senso colpisce ancor di più la serie dedicata a Pico della Mirandola, resa spettacolare dalla cancellazione di ben venti volumi delle “Conclusiones”, realizzata nel 2014, esposta qui anche perché Palazzo dei Pio ha un forte legame con la famiglia del filosofo. E allora? L’equilibrio visivo perfetto fra ciò che è cancellato e ciò che non lo è (qui sta l’arte dell’atto pittorico, non solo nel concetto che ne è alla base), ci aiuta a camminare tra i dubbi e a cercare e trovare le nostre personali verità.
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