Per portare alla luce ciò che è oscuro, bisogna affacciarcisi dentro. Lo sa bene Giovanni Nucci, poeta e scrittore romano che da più di vent’anni studia i miti greci e li fa dialogare con l’oggi, perché il mito ha a che vedere con la sostanza dell’esistenza umana. Perciò, nel suo «Gli dèi alle sei. L’Iliade all’ora dell’aperitivo» (Bompiani), bellissimo saggio-romanzo di dèi ed eroi, rilegge il mito consegnatoci dal sacro vate Omero. Ma l’unico modo per farlo, «per immergersi e non affogare nel mito – come scrive l’autore nella nota in calce al volume – è lasciarsi andare, abbandonarsi al racconto facendosi trasportare dove quello meglio crede». E così fa il lettore, assecondando la lettura di un mito fondativo come la guerra di Troia, da parte di un amante dei miti irrequieto come Nucci, nutrito di letture di testi – a partire dall’Iliade nella traduzione di Guido Paduano – dai quali si è fatto sostenere e illuminare. Nucci, tuttavia, «scarica la responsabilità del racconto sulle spalle solide e fittizie» di un narratore di secondo grado, il professor Goffredo Mainardi, arrivato a Parigi per tenere lezioni sull’Iliade al Collège de France. Lì, in mezzo al pubblico rivede una donna bellissima, «un grande amore cui non era ancora riuscita a corrispondere nessuna possibilità» e da quel momento decide di voler dare una lettura romantica dell’Iliade, pensando che «il piano del divino fosse venuto ad abitare ciò che loro stava capitando». Giacché ogni sera si ritrovano per l’aperitivo, da lì viene fuori questa cosa degli dèi alle sei. Mainardi è convinto che è necessario invertire il modo con cui pensiamo il divino: gli dèi non osservano dall’alto gli eroi combattere mentre prendono l’aperitivo. Ma entrano nei loro combattimenti, li affiancano, sono dentro di loro, si fanno pensare diventando i loro comportamenti più profondi. Proprio come Dioniso ed Afrodite erano venuti ad abitare il gin tonic che prendevano ogni sera verso le sei. E così si snodano le cinque lezioni, dall’antefatto, quando Zeus si innamora di Nemesi che per fuggirlo si trasforma in un’oca; e Zeus trasformato in cigno non potendo possedere tutta quella bellezza la mette in un uovo che poi viene portato da Ermes tra le gambe di Leda che darà alla luce Elena, Clitemnestra, Castore e Polluce. Dunque, ecco che si mette in scena il gioco di forze tra maschile e femminile, anche se – scrive Nucci – «non bisogna pensare al maschile come ciò che è dell’uomo e al femminile come ciò che è della donna perché appartengono a entrambi anche se in misure e equilibri diversi». Ma se è vero che il conflitto di Troia è il femminile a causarlo, giacché nasce dallo scontro tra Era, Afrodite e Atena, in cui Afrodite ha la meglio, e il conflitto porterà alla fine dell’era degli eroi, è ugualmente vero che soltanto il femminile potrà offrire agli eroi quella consapevolezza del sé necessaria a sopravvivere a una tale devastazione. Afrodite, Era, Atena, Teti, Elena che contiene in sé la bellezza del mondo. Lo comprende bene Ettore, l’eroe per eccellenza, e lo sanno perfettamente Andromaca e le altre donne, consapevoli che il destino di Troia è segnato ma che saranno loro le uniche a sopravvivere.