«Tornare in Sicilia, dove ho girato “Il regista di matrimoni”, e “Il traditore”, mi ha sempre attratto, la Sicilia è qualcosa in più, e nel momento in cui si ritorna l’attenzione diventa maggiore, ci stai qualche mese e capisci tante cose e ti innamori anche di questa bellissima lingua e ti chiedi perché non viverci». Così ci dice Marco Bellocchio prima che faccia il suo ingresso nell’Aula Magna del Rettorato dell’Università di Messina dove riceverà il Dottorato honoris causa in “Scienze cognitive”, Curriculum “Teorie e tecnologie sociali, territoriali, dei media e delle arti performative”. «È la mia terza laurea ad honorem- dice- accolta con entusiasmo perché nonostante la mia lunga storia è un incoraggiamento a difendere le mie posizioni, a fare delle cose belle, a darmi più forza e convinzione di continuare a fare ciò che ho fatto sino ad ora». E mentre si concede un ricordo di Piera degli Esposti insieme al rammarico perché la sua grandezza era più di quanto è rimasto, quando gli chiediamo cosa pensa del rapporto del suo cinema con i giovani, dice che non sa bene cosa significhi per i giovani di oggi, ma sia per la serie di “Esterno notte”, sia per “Il traditore” sia per “Rapito” ha visto grande interesse anche da parte dei giovani. Cerimonia solenne, con il Senato Accademico messinese e il Collegio dei Ricercatori, il prorettore vicario Eugenio Cucinotta, il direttore generale Francesco Bonanno, il direttore del dipartimento Cospecs Carmelo Maria Porto, la coordinatrice del dottorato in “Scienze cognitive” Alessandra Franzoni e in sala la rettrice Giovanna Spatari, «un evento speciale, straordinario, festivo», così ha esordito nella laudatio Federico Vitella, docente di Storia del Cinema e promotore della laurea per chiara fama a Bellocchio. Per raccontarla tutta la bellezza della filmografia del più importante regista del nostro tempo Vitella ha iniziato dal suo esordio con “Pugni in tasca” (1965, premiato a Locarno) sino a “Rapito”, momento altissimo di cinema (Nastro d’Argento 2023), esaminando la sua inesausta attività creativa con la sua capacità metacinematografica di riflettere sulle immagini con le immagini, di accostare linguaggi di diversa provenienza e usare materiali di repertorio, e di soffermarsi sullo stato di salute del cinema stesso. «Bellocchio è membro di quel cinema transnazionale che ha rinnovato il cinema cosiddetto moderno –ha detto Vitella- e ha saputo rinnovarsi nel corso degli anni rimanendo sempre fedele al suo stile inconfondibile nonché ad alcuni temi portanti trasversali all’intero orizzonte di poetica, secondo i paradigmi della storia, dei meccanismi del potere, dell’autorità, delle complesse dinamiche famigliari e della dissacrazione della famiglia borghese, della malattia, dell’eutanasia, delle condizioni sociali, della religione, dell’autobiografia. Ma sono i film degli ultimi vent’anni che sono diventati punto di riferimento assoluto per il cinema d’autore, per la capacità di coniugare la tematizzazione del potere in tutte le manifestazioni con la consapevole rielaborazione del linguaggio filmico e le forme della rappresentazione insieme alla salienza delle immagini». Ed è stato un Bellocchio emozionato ad accogliere, secondo il tradizionale rito, la toga, il tocco e il libro simbolo del possesso dei saperi. «Non ho più l’età per “perdere la testa”, ma sono ovviamente soddisfatto per questo riconoscimento che mi impegna a una responsabilità in più, cioè continuare a fare una ricerca al di là della gloria e della ricchezza, ma che sia profondamente umana, che sia qualcosa di prezioso nella storia nostra, di uomini, tenendo conto del fatto che il nostro è un lavoro impegnativo che deve mediare tutta una serie di esigenze pratiche. Ringrazio chi mi ha attribuito valore assoluto rispetto al cinema italiano essendo vivo ed entusiasta del mio lavoro nonostante l’età». E racconta generosamente Bellocchio rispondendo alle sollecitazioni di Vitella, parlando della sua formazione, da quando giovane, dopo un inizio alla facoltà di Filosofia all’Università di Milano, fece il grande decisivo salto, giungendo a Roma dove al Centro Sperimentale di Cinematografia apprese lezioni preziosissime, la scrittura cinematografica, la sceneggiatura, il montaggio e poi la storia del cinema, i capolavori del cinema muto, il grande cinema espressionista tedesco, il realismo francese. Cominciava da lì la potente capacità di rappresentare la realtà ed elevarla al livello dello sguardo ad altezza d’uomo, tra fedeltà storiche e “infedeltà” immaginifiche, di indagare nelle sue ombre più oscure ma anche nei sogni. E riflette sulla tecnologia, e sulla serialità a proposito di “Esterno, notte”, nella consapevolezza che essa comporta delle regole, e ragiona di futuro, il “visionario” Bellocchio, di programmazioni alcune delle quali già avviate come i sei episodi della serie su Enzo Tortora.