Una serata giustamente trionfale, un “Don Carlo” all’insegna del grande tradizione del canto italiano. Anche se, paradossalmente, la migliore in campo è stata una lettone: il grande mezzosoprano Elina Garança, dominatrice della parte di Eboli come forse oggi nessun’altra al mondo. Ma l’applauso più lungo se l’è preso al quarto atto la diva Anna Netrebko al termine di un “Tu che le vanità” di scultorea incisività, a riscattare i primi due atti non troppo centrati, un’Elisabetta di Valois, la sua, comunque di gran temperamento. Ma grande canto ha fatto ascoltare nel title role anche il tenore Francesco Meli, a compensare con la fantastica eleganza del fraseggio un peso vocale leggero per la difficilissima parte del principe folle. Voce a mai finire al contrario ha esibito il baritono Luca Salsi, che con brada efficacia ha scandito l’eroico idealista Marchese di Posa. Infine, il basso Michele Pertusi, un Filippo II più tormentato che rassegnato, eroico a sua volta a portare a termine l’opera a dispetto di un attacco di mal di gola.
Su tutto e tutti, l’Orchestra della Scala e il suo direttore: Riccardo Chailly ha superato ognuna delle sue altre inaugurazioni scaligere con una direzione ampia, maestosa, vibrante. Una direzione in grado finalmente di instaurare confronti alla pari con i maestri più illustri che su quel podio l’hanno preceduto. Infine, al di sopra di ogni lode, come sempre, il Coro scaligero. E allestimento ultra tradizionale stavolta, con la regia solida e senza fronzoli di Lluis Pasqual. Tredici minuti di applausi finali, ci stanno tutti.
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