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Se la democrazia diventa «Capocrazia»: il costituzionalista messinese Ainis parla del suo ultimo libro

Un panorama inquietante. E una proposta: interpellare gli italiani

Michele Ainis

Ha coniato una paroletta beffarda e terribile, che indica un male, strisciante e pervasivo, della nostra democrazia. Ne ha fatto il titolo d’un saggio e il fondamento d’un riflessione che, malgrado la scrittura brillante e il dono del calembour, disegna un paesaggio inquietante del nostro presente istituzionale, con precisi timori per il futuro. Lui è Michele Ainis, messinese, insigne costituzionalista e editorialista tra i più apprezzati (ma anche scrittore – i suoi romanzi sono raccolti nella «Trilogia degli specchi», edita da La nave di Teseo – con una predilezione per trame calviniane e distopie illuministe d’un sorridente pessimismo), e il saggio è «Capocrazia. Se il presidenzialismo ci manderà all’inferno», appena uscito per La nave di Teseo (di cui parlerà oggi in un incontro a Messina, organizzato dal Rotary club, alle 18 al Royal Palace Hotel, dialogando coi professori Giovanni Moschella e Antonio Saitta).

Il tema è il presidenzialismo, cavallo di battaglia del centrodestra al governo e quasi realtà: ma il «quasismo», come dice Ainis, è una costante dello spirito italico. Come le riforme de-formanti, o secondo il... modello Penelope, il “decretismo”, i pre-potentati locali e localissimi, la fascinazione di sempre (malgrado il monito che viene dall’impianto stesso della nostra Costituzione) per «l’uomo forte». E lo spirito dei tempi, lo vediamo con allarme in tutto il mondo, è verso «un mix di democrazia formale e d’autocrazia sostanziale». E dunque? Una riforma di questo genere sarebbe un salto nel futuro o un salto nel vuoto? Ne abbiamo parlato con l’Autore.

Partiamo dalla fine, dalla Costituzione tradita. Un tradimento “nei fatti”, e pure antico. Il “presidenzialismo”, che ha come padre lo spirito dei tempi e come madre la ben nota “presidentite” italica, fa parte di quei tradimenti, o ne può correggere una deriva?
«Il “presidentismo” è un tradimento rispetto ai modelli che ci avevano consegnato i costituenti, perché loro avevano orrore del potere solitario, del potere verticale: lo avevano sperimentato sulla loro pelle coi vent’anni di fascismo. Erano certo consapevoli che nessuna società umana si regge senza una qualche distinzione tra governanti e governati, senza una struttura di potere, e il potere lo diluirono in organismi collegiali, mettendo al centro del sistema il Parlamento, e col ruolo forte dei partiti, come erano un tempo, realtà aggregative (pace all’anima loro). Ma d’altra parte questo non è l’unico tradimento che ha subito la Costituzione italiana, un po’ come una bella donna, o un bell’uomo, molto amata e molto tradita, fin da quand’era ancora in fasce. Il democristiano Scelba negli anni ’50 diceva che “la Costituzione è una trappola”. Con la Dc al governo bisognò attendere a lungo per attuare alcuni organi costituzionali vitali: dal Csm alla Corte Costituzionale; per le Regioni addirittura si attese fino al 1970… A tutt’oggi esistono disposizioni della Costituzioni che non sono state attuate, o che sono sono state bellamente scavalcate: nell’ultimo capitoletto del mio libro provo a raccontarlo».

Ci dica di questo spettro inquietante, che è già tra noi: la “capocrazia”, ovvero il presidenzialismo “di fatto”, a macchia di leopardo, dalla vita dei partiti alle leggi elettorali, all’abuso dei decreti legge. Agli italiani in fondo “l’uomo forte” piace da sempre, un Mister Wolf che “risolve i problemi”, e oggi è più d’una tentazione, non solo in Italia, la “democrazia immediata” (che alcune forze politiche dipingono come, finalmente, davvero rispettosa della volontà popolare). Ma lei nota pure, col suo consueto gusto per il calembour, che «gli italiani sono per la tirannide, ma temperata dal tirannicidio». Come se ne esce?
«Sì, è vero che gli italiani amano “l’uomo forte”, o di recente “la donna forte”, ed è anche vero che poi li mettiamo a testa in giù, anche metaforicamente, basti pensare a personaggi che sono stati molto popolari, da Craxi, a Renzi, a Monti, allo stesso Napolitano, caduto un po’ in disgrazia nell’ultimo periodo della sua presidenza. E quindi vale quella battuta, naturalmente solo metaforica, del “tirannicidio”. Direi che di questi tempi, non soltanto in Italia, rivolgersi all’uomo forte, cioè a un salvatore che ti libera dal male, è anche una conseguenza delle paure che ci attanagliano, paura delle guerre, del cambiamento climatico, che soprattutto i ragazzi avvertono. Diceva Freud che l’uomo moderno rinuncia volentieri a una quota della propria felicità, quindi anche dei propri diritti, in cambio di maggiore sicurezza. Poi c’è un paradosso, perché l’ansia, la ricerca ossessiva di sicurezza alla fine genera maggiore insicurezza. Basti pensare alla quantità di nuovi reati introdotti non solo da questo governo. Qualcuno ha stimato che sono 35 mila le fattispecie di reato in circolo. Questo ci rende più insicuri: ciascuno di noi può commettere un reato senza nemmeno sospettarlo...».

I ri-costituenti, come li chiama nel saggio, chi dovrebbero essere? Lei sottolinea più volte la necessità di coinvolgere noi cittadini, in fondo mandanti, oltre che utilizzatori finali, d’ogni virgola della Costituzione. Noi cittadini sempre più disaffezionati alla partecipazione: ma una democrazia in cui si vota sempre meno è più debole o più matura?
«Io credo che l’astensionismo elettorale dipenda anche da un sentimento di sconforto, nel senso che noi siamo prigionieri ormai da tanti anni di sistemi elettorali che non ci fanno decidere un piffero. Altrimenti non si spiegherebbe tutta quella ressa, e quella rissa, di candidati che vogliono il posto al sole nel listino bloccato da parte dei loro segretari di partito. Come se l’elettore, ed in realtà così è, fosse solo uno spettatore. Questo ovviamente disincentiva la partecipazione alla vita democratica e anche la partecipazione al voto. Per quanto riguarda cosa fare, io provo a formulare una proposta che naturalmente non verrà mai raccolta: dal momento che c’è un Parlamento, che, anche se non delegittimato, è fiaccato dal fatto che un italiano su tre non è andato a votarlo, non ha sufficiente auctoritas, io credo, per cambiare la Costituzione radicalmente, e posto che neppure una Bicamerale, che alla fine è una cupola di parlamentari eletti con listini bloccati, può superare questo gap democratico, immaginavo che sarebbe bello fare come hanno fatto altrove, per esempio in Islanda, ovvero costituire un’assemblea di non parlamentari, eletta con il proporzionale. Magari potrebbero essere 75 signori e signore, come accadde ai tempi della Costituente (se possibile con pochi costituzionalisti, che in genere fanno più danni che altro...) a cui possano rivolgersi cittadini, associazioni, gruppi per formulare delle proposte. Poi questa commissione avrebbe il compito di redigere un progetto di Costituzione e trasmetterlo al Parlamento. Mi auguro, infine, che a decidere saranno i cittadini col referendum».

Il primo capitolo ha un incipit folgorante: «Il presidenzialismo è come il ponte sullo stretto di Messina». Qualcuno quaggiù le direbbe che, invece, pare che le magnifiche sorti e progressive ora si compiranno davvero, e per entrambe le cose…
«Sul Ponte temo proprio che i lavori cominceranno, così come sono cominciati i lavori parlamentari sul presidenzialismo. Temo quindi che verrà posata la prima pietra, o meglio scagliata sulla testa dei messinesi, e speriamo di non avere un paesaggio di macerie, come Messina ha già sperimentato coi terremoti, e che queste macerie non si estendano anche al paesaggio delle istituzioni, già oggi fin troppo terremotato...».

 

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