Fra poco saranno ottant’anni precisi, e quella memoria tragica è diventata simbolo, emblema. Il 24 marzo 1944 in una cava sulla via Ardeatina i nazisti assassinarono 335 uomini, ciascuno con un colpo alla testa. Un’esecuzione che durò ore. Tra loro c’erano prigionieri politici e partigiani di tutte le forze antifasciste, civili e militari, molti ebrei, alcuni detenuti comuni ma anche semplici cittadini, del tutto estranei alla Resistenza. Doveva essere una rappresaglia – in una proporzione mostruosa, e pure sbagliata per eccesso, di dieci a uno – per l’attacco partigiano in via Rasella, avvenuto il giorno prima e in cui erano stati uccisi 33 militari del Reich. È l’Eccidio delle Fosse Ardeatine, il piú grande massacro compiuto dai nazisti in un’area metropolitana. Di quel tragico e orribile episodio si sa parecchio – anche perché resta un simbolo della ferocia dei nazisti e della codardia dei loro sostenitori fascisti – , invece abbastanza poco si conosce delle vicende individuali delle vittime (tre delle quali sono rimaste senza nome), a parte pochissimi (tra cui don Pietro Pappagallo, il colonnello Giuseppe Montezemolo). Adesso un libro per la prima volta racconta le loro storie, una per una: «Le vite spezzate delle Fosse Ardeatine. Le storie delle 335 vittime dell'eccidio simbolo della Resistenza», in uscita oggi per Einaudi. Nelle storie di operai, studenti, militari, membri delle forze dell’ordine, di ogni età, ceto, appartenenza politica e credo religioso, provenienti da 18 regioni diverse (anche 9 stranieri), si riassume la storia sociale, politica, economica, culturale di quell’Italia sfibrata dalla dittatura fascista e vessata dai tedeschi e della Resistenza, ma con grandi riserve di forza morale, di cultura, di capacità d’opposizione, di coraggio. Autori di questa sorta di «Spoon River» della Resistenza sono i giornalisti e studiosi di storia contemporanea Mario Avagliano, che dirige il Centro Studi della Resistenza dell'Anpi di Roma-Lazio, e Marco Palmieri. Assieme hanno già firmato per Einaudi altri saggi, occupandosi dello stesso tragico periodo: «Gli internati militari italiani. Diari e lettere dai lager nazisti 1943-45» (2009); «Gli ebrei sotto la persecuzione in Italia» (2011); «Voci dal lager. Diari e lettere di deportati politici 1943-45 » (2012). Compulsando una grande quantità di documenti, lettere, diari (ma anche il commovente biglietto scritto a matita e trovato nella tasca di uno degli uccisi) e intervistando i parenti di alcune vittime, i due autori ricostruiscono il clima di violenza cieca e di oppressione di quella particolarissima fase della nostra storia, in cui s’incrociano la persecuzione degli ebrei (sono ebree 75 delle vittime, la maggior parte della comunità di Roma) e degli oppositori politici, che fossero antichi monarchici o socialisti o comunisti, o persino alcuni ex fascisti (Aldo Finzi, da marciatore su Roma a partigiano), E molto chiare sono le responsabilità, le connivenze, le collaborazioni vergognose con i nazisti. Un lavoro molto accurato e necessario, per ridare un’identità piena a tante vittime di cui si conosce finora solo il nome, e con un’attenzione all’umanità, e alla necessità della memoria, di cui abbiamo molto bisogno.