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"Un sabato, con gli amici": il non giallo di Camilleri torna in libreria

Andrea Camilleri (6 settembre 1925)

Faceva crescere le storie Andrea Camilleri, abile tessitore di regie, costruttore di stilemi, un maestro ora manzoniano e sciasciano nel penetrare le crepe della storia consultando archivi e documenti per i suoi romanzi storico-sociali, ora volterriano nell’osservare, anche con la cifra dell’ironia, la realtà, i fatti della quotidianità che a partire da un dettaglio restituiscono verità di degrado morale, derive di cinismo e corruzione, di avidità insaziabile (soldi, sesso e potere) nei compromessi abituali degli esseri umani. Spunti che sarebbero diventati romanzi, sceneggiati televisivi – fiction come si dice oggi, epopea del commissario Montalbano compresa – , spettacoli teatrali. Un destino, quello di raccontare, sin da quando, ragazzo, scriveva poesie di carattere sociale (era un lettore di Majakovskij); sin da quando, adulto, curava gli sceneggiati in bianco e nero della vecchia tv, come certi straordinari Maigret con Gino Cervi, e si appassionava ai caratteri dei personaggi.
Aveva fatto molte cose nella sua vita Andrea Camilleri, e sicuramente il regista per gran parte del suo tempo terreno, poi con il suo Montalbano era divenuto il “caso Camilleri”, tuttavia nel suo inesauribile scrigno narrativo non c’erano solo Vigàta e gli stilemi di una lingua inventata, ma altri romanzi scritti in un italiano terso e di forte tensione narrativa.

Come quello di «Un sabato, con gli amici», pubblicato per la prima volta da Mondadori nel 2009 e ora ristampato da Sellerio con una bella postfazione di Nicola Lagioia. «Non è un giallo – scrive Salvatore Silvano Nigro nel risvolto di copertina – anche se l’ingombro di un cadavere non manca con gli interrogativi che pone, in margine a un finto quanto torbido tentativo di ricatto». Ma non c’è “solo” un cadavere, c’è molto altro, dispiegato sin dal titolo (di forte valenza allusiva è la virgola dopo «sabato»), dialogo dopo dialogo, scena dopo scena: abusi, sesso malato, intrighi, guasti che finiscono per appestare i personaggi.
Al centro della trama c’è una rimpatriata tra amici, un sabato, topos cui ha attinto spesso il cinema: si conoscono sin da bambini, sono stati compagni di scuola, e nonostante i traumi infantili che più o meno hanno toccato tutti, e che non sono riusciti ad elaborare, sono diventati adulti apparentemente ben inseriti nelle professioni e in una vita sociale di elevato tenore. Ma ci sono segreti, doppie vite, cinici conformismi, che in quel sabato riaffiorano drammaticamente: tutto innescato dall’improvviso ritorno di un amico di cui avevano perso le tracce. Un «teatro della crudeltà – scrive Lagioia – costruito da Camilleri in modo chirurgico e spietato» intorno a questi ragazzi divenuti “mostri” come per un’orribile mutazione, tra volgarità, cinismo, malevolenze, invidia, e «uno sfrenato individualismo, insieme a doppiogiochismo e ricatti». Metafora amara per dire del popolo italiano, suggerisce Lagioia, da parte di chi, come Camilleri, dopo il disastro del fascismo, da lui vissuto, aveva sperato «nella possibilità che gli italiani (da sudditi, sottoposti, conquistati, obbligati a saltare nei cerchi infuocati) diventassero un popolo libero, affrancato».

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