A Messina un pezzo di storia del cinema: Federico Vitella presenta “Maggiorate. Divismo e celebrità nella nuova Italia”
È il 1952 e il regista Alessandro Blasetti sta girando il film a episodi “Altri tempi”. Sul set ci sono, tra gli altri, Gina Lollobrigida e Vittorio De Sica. L’attore interpreta il ruolo di un avvocato d’ufficio, un po’ geniale e un po’ smemorato, dimostrando – lui, già regista di capolavori del neorealismo – una grande capacità da attore brillante. Il legale difende una popolana napoletana di grande bellezza (la Lollo) e adeguata scollatura, accusata di aver tentato di avvelenare marito e suocera. E conclude così la sua arringa: «La legge prescrive che siano assolti i minorati psichici? Ebbene, perché non dovrebbe essere assolta una maggiorata fisica, come è questa formidabile creatura?». Nasce così, da un’idea dello sceneggiatore Alessandro Continenza che ha “tradotto” in film la novella di Edoardo Scarfoglio “Il processo di Frine” (a sua volta ispirata a una vicenda dell’antica Grecia), il termine “maggiorata” che in breve entra a pieno titolo nei vocabolari e che caratterizza tutta un’epoca del cinema italiano, quella degli Anni Cinquanta. “Maggiorate. Divismo e celebrità nella nuova Italia” (Marsilio Editore, pagine 336, euro 32) è appunto il titolo del nuovo libro di Federico Vitella, professore ordinario nell’Università di Messina, dove insegna “Storia del Cinema”. Si tratta di un saggio di grande spessore scientifico, frutto di ricerche vastissime e rigorose, che si sviluppa fra temi storici, sociali e di costume, e descrive il continuo contatto, fatto da un reciproco dare-avere, fra il cinema e gli italiani che uscivano faticosamente dal dopoguerra e si avviavano verso il miracolo economico. Proprio quell’idea di crescita, che consentiva alla gente di allontanarsi dai tempi magri, traslata idealmente, sembrava trovare una perfetta configurazione fisica in attrici che, fra doni di natura e qualche imbottitura d’aiuto, esibivano un fisico prorompente, in grado perfino di superare i confini della censura improntata a una restrittiva morale cattolica, alimentata allora dal predominio politico della Democrazia Cristiana. Vitella, nato a Varese e residente a Firenze, sceglie quattro prototipi di grande successo popolare per sviluppare il suo discorso: Silvana Pampanini, Gina Lollobrigida, Sophia Loren e Silvana Mangano (a proposito di quest’ultima, va detto che chi, da bambino, ha visto il suo sensuale ballo in “Riso amaro”, ha allargato precocemente i suoi orizzonti di vita). Sono attrici, il cui successo si riverbera ancora sui nostri giorni, anche perché, nonostante la critica dell’epoca le trattasse con sufficienza (come fece con Totò), le carriere internazionali della Lollo e della Loren (questa arrivata poi anche all’Oscar) hanno dimostrato che quella popolarità aveva anche un fondamento attoriale e non solo legato alla bellezza vistosa. Attraverso di loro, l’autore, grazie anche a un importantissimo e dettagliato lavoro di ricerca, ci porta in un mondo del cinema che, nella sua organizzazione in qualche modo ancora pre-industriale, aveva già grandi capacità vitali, fatte di idee originali, poi replicate in serie; un buon senso della comunicazione, pur ancora affidata a iniziative singole, e quindi un rapporto costante con i grandi rotocalchi dell’epoca; rispondeva alle necessità delle dive attraverso contratti favorevoli e molto specifici, che garantivano privilegi; creava un ponte costante tra attrici e spettatori-ammiratori, ai quali si dava un apparentemente facile accesso alla vita dorata delle “maggiorate”; organizzava incontri internazionali con capi di Stato e personalità illustri, facendo diventare celebrità anche diplomatiche le stesse interpreti che appena prima erano state costrette a muoversi con circospezione fra le maglie della censura che guardava con sospetto «la spettacolarizzazione del décolléte». Pur mantenendo sempre un evidente e apprezzabile rigore scientifico, con l’aiuto di documentatissime note, Vitella riesce anche a inserire notizie che fanno divulgazione e rendono amabile la lettura. Come racconta in una nota, si ispira al grande sociologo e filosofo Edgar Morin, che nel suo saggio “L’industria culturale” scrisse: «Occorre conoscere il mondo senza sentirvisi estranei; divertirsi ad andare a zonzo sui grandi boulevards della cultura di massa». Così l’autore ogni tanto rallenta il suo passo deciso di studioso, per portarci a zonzo su alcune curiosità. Per esempio, apprendiamo che Gina Lollobrigida nel 1953 assicurò il seno per 30 milioni. O anche che il sindaco cattolicissimo di Firenze, Giorgio La Pira (che aveva vissuto la sua adolescenza a Messina) non esitò a ricorrere a Silvana Pampanini «per domare la più calda delle mobilitazioni degli operai metallurgici delle officine meccaniche del Pignone a rischio licenziamento». E ancora come la stessa Pampanini sottolineasse con malcelata invidia il vantaggio, economico e organizzativo, di Mangano e Loren, legate sentimentalmente ai produttori De Laurentiis e Ponti. Possiamo ricordare anche come Andreotti, un politico sempre molto pragmatico e che non lasciava nulla al caso, nel 1952 avesse scritto l’invettiva: «De Sica avrà reso un pessimo servigio alla sua patria», riferendosi alla da lui sgradita circuitazione internazionale dei crudi film neorealisti, così indirettamente – ci pare - dando via libera ai corpi delle “maggiorate”, ritenute sicuramente un miglior modo di rappresentare l’Italia all’estero. “Omnia munda mundis” (tutto è puro per i puri), avrebbero detto i latini con sorridente ironia.