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Non servire, ma soprattutto con-servare. Il bel romanzo di Patrizia Carrano

"La Figlia della Serva", torna la piccola comunista Elisabetta

Ama rileggere le storie più piccole nelle pieghe della storia più grande del Novecento Patrizia Carrano, scrittrice, giornalista, sceneggiatrice, che alla condizione femminile ha dedicato gran parte del suo impegno intellettuale, declinando questo tema tra biografie («La Magnani. Il romanzo di una vita»), storie-verità tratte dalla cronaca e dal costume e romanzi che si muovono tra l’ambientazione storica, l’osservazione socio-antropologica e le questioni legate all’attualità. Come in «La figlia della serva» (Vallecchi), nuovo capitolo di una saga famigliare che dal 1956 arriva ad oggi, iniziata con «La bambina che mangiava i comunisti» (sempre Vallecchi).

La bambina Elisabetta, figlia di Franca Gobbi, pasionaria della causa comunista per la quale ha trascurato la figlia, la bambina che credeva che tutto il mondo fosse fatto di «compagni», che mangiava le lasagne rosse alla mensa della Cgil, incontrava artisti come Turcato e Mafai e poeti come Cardarelli, la stessa che intuisce che quell’esaltazione si sgonfia con l’invasione dell’Urss in Ungheria, quella bambina è cresciuta, è diventata una bella e buona ragazza e poi un’adulta gentile sempre attenta ai diritti umani.

Anche a quelli delle tante persone straniere che badano ai nostri anziani, più del 77% – scrive la Carrano nella postfazione – della forza lavoro domestica del nostro Paese, cui occorre aggiungere quanti lavorano in nero. Senza la loro cura preziosa sarebbero perdute persone come Franca, ormai novantenne, che pur avendo lavorato con passione per il Partito schierandosi in difesa degli oppressi da dittature e povertà, non ha mai saputo guardare con solidale comprensione alle persone che le stanno vicine, comprese le “serve”, che l’hanno aiutata sostituendosi anche al suo ruolo di madre.

Era un’anima semplice Beppa, venuta dalla campagna veneta per crescere la piccola Elisabetta, amata come una figlia, e sempre ubbidiente e sottomessa alle insofferenze della “padrona”. E ora che è sola, Franca, non lo ha perduto quel “vizio” di essere scontrosa con chi l’aiuta, come il peruviano Manuel, suo unico sostegno dopo la morte di Renzo, l’orientalista compagno di Franca dopo la separazione dall’aristocratico marito. Eppure questa donna indomita, che, disinteressata ai beni materiali, si accontenta di avere sempre vicine sigarette e cioccolata, continua a combattere a modo suo, anche con la rabbia, contro il dolore per la morte prematura di Elisabetta, e contro l’avida figliastra che vorrebbe gettarla fuori dalla casa di cui ha l’usufrutto, sino a riscattarsi con un atto di generosità proprio verso Manuel.

Sullo sfondo Roma, sempre bella e seduttiva, per questa storia d’amore e di dolore, di genitori e di figli, e di donne che sanno resistere, non “serve”, ma persone che sanno “serbare”, cioè custodire, conservare. «Una vocazione – scrive la Carrano, anche lei allattata da bambina da una balia – che può essere intesa in termini altissimi: si serve il Paese, lo Stato, si servono gli ideali, si conserva un valore, una storia, una civiltà».

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