L’estate come stagione delle possibilità, l’amicizia immediata, pura, profonda, libera e il tema della malattia, affrontato con estrema delicatezza, mentre sullo sfondo scorre la bellezza selvaggia e luminosa dell’isola di Favignana. Corre su questi filoni «Quell’estate con Irène», secondo lungometraggio del regista Carlo Sironi con Noée Abita, Camilla Brandenburg, Claudio Segaluscio, Gabriele Rollo, Beatrice Puccilli, Anna di Luzio, Maurizio Grassia, film selezionato per la 74. Berlinale e attualmente nelle sale. Prodotto da Kino con Rai Cinema, in co-produzione con JuneFilms, e distribuito da Fandango (la distribuzione siciliana è a cura di SudTitles), il film è stato presentato dal regista in un lungo tour siciliano che ha fatto tappa anche a Catania, Trapani (città d’origine dell’attrice francese Noée Abita), Mazara del Vallo e Messina, alla Multisala Apollo. Ad introdurre la proiezione messinese l’esercente Fabrizio La Scala e la giornalista Chiara Chirieleison che ha dialogato col regista romano. A Sironi, classe 83, al secondo lungometraggio dopo «Sole», presentato in concorso nella sezione Orizzonti alla 76. Mostra di Venezia, abbiamo posto alcune domande.
Innanzitutto come nasce il film?
«Alcuni film nascono su un percorso più razionale, in questo caso è invece l’inizio è stato molto bizzarro, la prima volta che l’ho immaginato stavo ascoltando “To Wish Impossible Things” canzone dei The Cure, dura circa 5 minuti durante i quali ho immaginato fotogrammi della storia, le due protagoniste, l’isola che le accoglie che portava con sé dei ricordi già presenti in me. Questo è avvenuto prima che girassi il mio primo film “Sole”, quindi ho scritto il soggetto, l’ho messo in un cassetto e ci ho lavorato dopo».
Ci sono punti in comune fra i due film?
«In entrambi ci sono due personaggi che s’incontrano senza il desiderio di farlo, si trovano e si cambiano l’esistenza a vicenda e in entrambi non c’è una ragione razionale sul perché ci si incontri, ma a 18 anni capita».
Siamo nell’agosto 1997, Clara (Camilla Brandenburg) e Irène (Noée Abita) s’incontrano per la prima volta durante una gita organizzata dall’ospedale che le ha in cura, timida e solitaria l’una, sfacciata e inarrestabile l’altra, hanno in comune il desiderio di vivere i loro 17 anni e recuperare il tempo perduto della malattia, sconfiggendo le ombre e lasciandosi andare all’ignoto, cosa che faranno scappando insieme in un’isola lontana da tutti dove poter finalmente vivere la loro prima vera estate. «Non è un film di viaggio – chiarisce Sironi – ma di vacanza, perché d’estate crediamo che le esperienze che facciamo siano differenti, più libere, e loro si riprendono il tempo perduto. Il film poi porta con sé il desiderio di raccontare anche quel momento in cui le prime impressioni della vita ci colpiscono e vanno a creare la nostra identità e la nostra memoria, quell’estate che non dimenticheremo mai. Volevo realizzare un film che avesse la sostanza indefinita di un sogno ad occhi aperti e la precisione chirurgica dei ricordi più importanti».
Come hai scelto le tue protagoniste?
«Noée c’era da subito, ero a Parigi per la residenza di scrittura per il primo lungometraggio, vidi un film dove recitava e ne rimasi folgorato e lei ha imparato l’italiano per il film. Camilla è una giovane attrice romana. Lavorare con loro è stato molto facile e divertente».
In filigrana anche il tema, delicatissimo, della malattia oncologica: come portarlo nel film?
«La malattia è affrontata con delicatezza, ci siamo rivolti ad un’associazione, l’Agop, che ci ha permesso di conoscere le storie di alcune ragazze e alcuni ragazzi e capire le fasi della malattia, come quella in cui si sono terminate le cure ma non se ne è ancora fuori, che è il tempo che vivono le ragazze nel film».
Fondamentale il rapporto con la musica, sia come abbrivio al processo creativo che come contrappunto alla narrazione: «Il brano dei Cure che si trova alla fine è centrale ma la musica – conferma Sironi – è molto importante nel film, ne segna l’evoluzione, dal momento più romantico a quello più bizzarro».
Cura, eleganza e delicatezza caratterizzano questo film dal sapore antico che permette d’immergersi in uno spazio magico, «l’isola di Favignana dove la natura ha modellato scenari e paesaggi perfetti per il mio racconto», conclude il regista.
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