Nella “gabbia” del giallo, come la chiamava Sciascia, Cristina Cassar Scalia ci sta molto bene, sin da ragazzina, come lettrice di gialli e soprattutto del “suo” Maigret, e quindi come autrice della fortunata serie della vicequestora della Mobile di Catania, Giovanna “Vanina” Guarrasi, ormai consacrata dalla tv con la fiction «Vanina - Un vicequestore a Catania», in onda su Canale 5 e alla cui sceneggiatura ha lavorato la stessa scrittrice. Un impegno, dopo aver fatto nascere Vanina, cui si dedica con lo stesso metodo scientifico col quale svolge la professione di medico oftalmologo.
E infatti, in questo decimo romanzo della serie, già in classifica appena uscito, «Il Castagno dei cento cavalli» (Einaudi, come gli altri), che la scrittrice netina (ma residente a Catania, benché innamorata di Palermo) dopo Taobuk 2024 presenterà, in dialogo con lo scrittore Mattia Corrente, oggi alle 18 a Messina, alla libreria Bonanzinga ( e poi il 2 luglio a Palermo, CitySea, con Salvo Toscano, e il 3 luglio all’Orto botanico di Catania), ritroviamo una Vanina riconoscibile, secondo le regole dettate dalla serialità, con il suo stile, il “vizio” del fumo cui non intende rinunciare, il culto del buon cibo tradizionale, la passione per il grande cinema del passato, ma in evoluzione, una “persona” come la Cassar Scalia l’ha sempre definita nelle nostre conversazioni su queste pagine. Con le sue zone d’ombra e le sue fragilità, con i suoi fantasmi (uno, in particolare, la morte del padre, l’ispettore Giovanni Guarrasi, caduto nella lotta contro la mafia) ma anche con la determinazione nell’affrontare il proprio lavoro assieme alla sua affiatata squadra, e con il suo carattere aperto agli altri, anche se un po’ complicato, con le sue imperfezioni e gli inciampi inevitabili dell’esistenza.
Non è una supereroina, è una “sbirra” e pure brava, non è in competizione con altri, e infatti ha lasciato una carriera importante nell’antimafia di Palermo, la sua città, per un’altra, più “tranquilla”, e convive con le sue paure, ma non ha pregiudizi né ipocrisie, semmai pudore e discrezione. Dunque, di Vanina piace il suo lato umano, perciò ci riguarda e attira sia l’interesse della scrittrice sia quello dei lettori e delle lettrici.
Il crimine è un fatto profondamente umano ed è nell’umano che trova le sue storie la Cassar Scalia, in tutto ciò che sta attorno al crimine, che è anch’esso una scelta come tutte le cose della vita; ed è questo che Vanina cerca di capire, le scelte che gli altri fanno o hanno fatto nel passato, e che vestono il presente, purtroppo anche con il male. Vanina cerca sempre di cogliere gli avvertimenti del passato anche attraverso oggetti “dimenticati” o case e luoghi disabitati (la passione della Cassar Scalia) quando osserva, quando indaga, quando riflette sul dettaglio, secondo la lezione di tanti investigatori letterari.
È sempre lì, nel passato delle vittime che bisogna andare a stanare la verità, è lì che bisogna “scafuniari” per risolvere i casi delittuosi (e non solo): ne sono convinti Vanina e il suo amato Biagio, “Gino”, Patanè (in tv è l’attore messinese Maurizio Marchetti) ottantatreenne commissario in pensione col quale lei ha un’intesa speciale (spesso capita che abbiano contemporaneamente le stesse illuminanti intuizioni), «amminchiati come sono alle cose del passato».
«Nessuna storia da romanzo può essere più assurda della realtà stessa» è il pensiero di Cassar Scalia filtrato da Vanina, così anche «Il Castagno dei cento cavalli», titolo eponimo di un sito eccezionale nel territorio di Sant’Alfio, alle pendici orientali dell’Etna, con un grande castagno millenario che fa parte del patrimonio italiano dei monumenti verdi (e legato a una leggenda che lo volle riparo tra il XIV e il XV secolo di una regina con corteo di cavalieri e dame), diventa il luogo, bellissimo e immerso in una natura esuberante di boschi, di un omicidio spettacolare nella sua efferatezza, scoperto inizialmente da due forestali: ai piedi del Castagno, brutalmente uccisa e mutilata una donna, detta la Boscaiola, una solitaria che viveva vendendo i prodotti del suo orto e del pollaio, funghi da lei raccolti, e facendo saltuariamente la guida. Dunque, il delitto in primo piano, come sempre nei romanzi della Cassar Scalia, che ci mette subito dentro l’enigma della storia, e ci fa diventare assieme a Vanina, assieme alla narratrice, indagatori dell’umano.
Perché il noir, come è stato detto, è un romanzo sociale e il rapporto tra luoghi, ambienti, contesti, le crepe del presente che rimandano al passato, servono per esplorare l’evoluzione del rapporto tra crimine e società. Come in questa storia, più corposa delle altre, in cui il delitto attuale rimanda a un contesto siciliano e italiano cui è necessario riavvicinarsi per capire le cause del male: il mondo è pieno di brave persone che fanno brutte cose, è la lezione di Hercule Poirot, ed è in questo mondo di brave persone che cresce la tentazione del male. Per il resto, in questo racconto si sente il respiro dei luoghi, amorosamente topografati, con la quantità di bellezza offerta dalla Sicilia (messa sempre in primo piano dalla Cassar Scalia), con la vivezza delle sue espressioni idiomatiche (mai superflue) ma anche con il suo immobilismo, tra autostrade con interminabili interruzioni e code chilometriche, e tuttavia rigogliosa di cibo eccezionale, tra pietanze siciliane di ristoranti etnei, vassoi di rosticceria e pasticceria (la passione di Vanina), raviole, granite e brioche.
E Vanina, che stavolta ha accanto a sé per un buon tratto la sorella Costanza, detta Cocò, venuta a Catania per allontanarsi da una difficile situazione sentimentale, in fondo ci sta bene, assieme ai suoi collaboratori e agli amici di sempre, una solida squadra in cui ognuna e ognuno ha le sue personali zone d’ombra, dal pm Vassalli all’ispettore capo Spanò, dall’ispettrice Marta Bonazzoli al Grande Capo Tito Macchia, dall’avvocata Maria Giulia De Rosa al giornalista Luca Zammataro, dal patologo forense Adriano Calì agli agenti tutti, e naturalmente al caro Patanè, con le loro vite che crescono su se stesse e il cui destino è nelle mani di Cristina Cassar Scalia. Che, peraltro, unica scrittrice, fa squadra con Giancarlo De Cataldo e Maurizio de Giovanni e con i due autorevoli giallisti ha scritto il romanzo a sei mani «Tre passi per un delitto» (Einaudi Stile Libero).
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