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"Come l'arancio amaro". Milena Palminteri e il suo grande atto d’amore verso la Sicilia

La storia di Carlotta è stata scritta «per riacchiappare l’Isola che mi stava fuggendo via»

E’ un atto d’amore verso la Sicilia «Come l’arancio amaro», il bel romanzo – che è in vetta alle classifiche e conquista ogni giorno il cuore di tante lettrici e tanti lettori – di Milena Palminteri, palermitana, conservatore di archivi notarili, una «tarda esordiente», come dice lei stessa, che da quando è andata via dalla Sicilia, la guarda dall’altra parte, da Salerno, dove vive.
«Parte o tanto di questo libro – dice Palminteri – , un romanzo per me sperimentale, per il quale mi sono documentata e che mi ha preso talmente tanto che ho approfondito quel che mi piaceva, portando al termine il percorso di ogni personaggio, è stato scritto per riacchiapparmi la Sicilia che mi stava sfuggendo di mano».
Una storia dal sapore antico, che restituisce il respiro di un’epoca, e fa riflettere sul destino femminile, a confermare quanta strada le donne abbiano fatto e quanta ne abbiano ancora da fare.
Anni Sessanta, Agrigento. Carlotta è la direttrice di un archivio notarile che casualmente da un verbale d’inventario di eredità del barone Carlo Cangialosi, deceduto a Sarraca («paesuzzo marinaro che dalla Sicilia spia l’Africa», un’invenzione della Palminteri che allude a Sciacca), provincia di Girgenti, in data 1924, lo stesso anno in cui lei è nata mentre il papà Carlo moriva in un incidente, apprende di una grave denunzia a carico di sua madre, la borghese Nardina Aricò e della madre di lei Sebastiana, accusate dall’altra nonna baronessa di aver organizzato un raggiro a carico di suo figlio, facendogli credere che la neonata fosse sua figlia, mentre non lo era. Ma allora di chi è figlia Carlotta? Da qui prende il via questa bella storia con la volitiva Carlotta, libera e sola al mondo, che per saperne di più si rivolge al novantenne avvocato “zio” Peppino Calascibetta, legatissimo a Carlotta come alla famiglia di lei pur senza legami di sangue.
E così si torna indietro nel tempo, sullo sfondo in filigrana il fascismo, la guerra, la mafia e in primo piano le abitudini “feudali” della nobiltà, i riti quotidiani, i pranzi infiniti con la sontuosa cucina tradizionale (l’autrice ha usufruito di un calepino di ricette della bisnonna), la villeggiatura nelle ville di campagna, il divario tra mondo maschile e mondo femminile, tra padroni e servi, tra borghesia emergente e aristocrazia.
Dunque, Milena, un esordio speciale...
«Mi sono messa in gioco, scrivere era la mia passione, tralasciata, o, meglio, mai accarezzata perché il mio lavoro, che peraltro mi ha dato la spinta a iniziare questo romanzo, mi portava da tutt’altra parte. Tra le migliaia di atti notarili che ci passano per mano, alcuni dei quali addirittura “reperti archeologici”, che poi sono quelli più interessanti, ho trovato il seme della storia: un atto notarile, un verbale d’inventario obbligato d’eredità risalente ai primi del Novecento, in cui si registrava la situazione di un bambino “passato” da una madre biologica a una madre che lo aveva “acquistato” per suoi fini personali, molto prosaici, perché da donna giovane sposata a un uomo vecchio temeva che niente le potesse restare del patrimonio del marito. La donna infatti era finita in tribunale perché i numerosi parenti del marito non credevano che questo bambino fosse suo e aggiungevano come prova che il neonato era stato tirato su dentro un “panaro” nella stanza della donna che aveva simulato la gravidanza. Dopodiché il resto me lo sono inventato di sana pianta. Un atto trovato a Salerno, ma che io ho spostato in Sicilia, perché ho voluto fare un lavoro di “rientro”».
È stato un lavoro di “rientro” anche linguistico.
«La sonorità del mio dialetto che temevo di dimenticare me la sono ritrovata nella scrittura; suoni e termini che coltivo leggendo con passione tutti gli scrittori siciliani, ma anche (e questa è stata una riscoperta recente) tante interessanti scrittrici siciliane di inizio secolo che sono state dimenticate».
Anche il bel titolo allude al “rientro” in Sicilia.
«Cercavo un titolo speciale che evocasse la Sicilia, la campagna, e che si adattasse a Sabedda e alla storia di lei sedotta e rimasta gravida (l’innesto, esattamente come quello dell’arancio amaro in altre piante) di Stefano, nobile ma di sentimenti inconsistenti. Il frutto di questo incontro è il nuovo ramo: Carlotta, capace con la sua sola forza di iniziare a cambiare consuetudini e pregiudizi, di aprire una crepa nell’omertà e dare a donne da sempre sottomesse la certezza che cambiare si può. Sabedda dell’arancio amaro ha conosciuto solo le spine, ma il profumo del suo fiore bianco, quello della libertà, è di Carlotta».
Ma quel seme spuntato dall’atto notarile come è diventato un romanzo?
«Ho frequentato una scuola di scrittura, “La linea scritta” di Antonella Cilento, non perché avessi in mente qualcosa di particolare, ma perché dopo la pensione ho pensato che potesse essere un modo bello per dare spazio a una passione sopita, e anche per “imparare” a leggere. Un impegno settimanale che mi dava gioia e grazie al quale ho appreso la tecnica e la disciplina. Io sin dall’inizio mi sono cimentata in storie siciliane, di amore, di tradimento, quasi sempre tutte ambientate nel secolo scorso. Poi è venuto fuori il ricordo di quell’atto notarile e da lì è cominciato tutto. In fondo, pure la mia generazione ha subito i condizionamenti famigliari, anche quelli fatti per un senso di protezione o di opportunità da parte dei nostri genitori. Io stessa avrei voluto fare altri studi ma poi, consigliata in tal senso, ho seguito una lunga tradizione famigliare giurisprudenziale».
Carlotta dunque ha tanto di te, le hai dato un ruolo e, mi pare, anche determinazione.
«Certamente Carlotta è più determinata di me. Ma posso dire che mi ritrovo in tutti e tre i personaggi femminili portanti: Sabedda, Nardina e Carlotta, come se in me stessa avessi compiuto tutte le evoluzioni. Quanto ai personaggi maschili, ho messo le mani su quelli che conosco, però qualcuno come lo zù Peppino, l’ho ammaestrato. Comunque è l’energia femminile che tiene insieme il romanzo e il mondo».

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