Giovedì 21 Novembre 2024

L’altro lato di via Panisperna: intervista alla scrittrice catanese Barbara Bellomo

«La biblioteca dei fisici scomparsi» (Garzanti), romanzo di Barbara Bellomo, scrittrice e docente catanese, storica di formazione, nonché autrice di tanti romanzi di successo tra i quali la serie dell’archeologa siciliana Isabella De Clio, che indaga nei misteri dell’antichità, è nato dall’idea di ritrovare Ettore Majorana, il grande genio della fisica scomparso misteriosamente nel 1938. «Imprescindibile la paternità di un testo fondamentale come “La scomparsa di Majorana” di Sciascia, ma io non riuscivo a far decollare il romanzo – dice la Bellomo nella nostra conversazione – però mentre consultavo la documentazione relativa a Majorana e a via Panisperna, mi ha folgorato una delle fotografie pubblicate anche nel volume di Erasmo Recami sul caso Majorana, con l’immagine della biblioteca. È stato allora che ho immaginato Ida, quindi una donna, in un mondo solo maschile, l’ho “vista” proprio lì. Una bibliotecaria che amasse la letteratura come me e soprattutto che non fosse un’esperta di fisica, perché l’altro grande problema era portare degli argomenti così difficili come la fisica quantistica a lettori che come me non hanno dimestichezza con l’argomento. E poi Ida mi ha rubato la penna, ha preso lo spazio che ha voluto, è cresciuta, mi ha fatto conoscere la sua storia». Anni ’30, fra Catania e Roma, Ida Clementi, personaggio d’invenzione, una voce narrante nascosta, perché è sempre il suo punto di vista che prevale nella narrazione in terza persona, è una ragazza di famiglia borghese d’impronta patriarcale, destinata a una vita marginale, mentre lei invece è ansiosa di lavorare. Riesce a strappare al padre la possibilità d’impiegarsi come bibliotecaria in via Panisperna, tempio della scienza italiana, dove viene a contatto coi più grandi scienziati del tempo, Fermi, Majorana, Amaldi, Corbino, Segrè, Pontecorvo, e respira finalmente cultura insieme a libertà, nonostante il regime. Così si ritrova a stringere amicizia con Ettore, riservato e “strano” ma che si apre con lei sulla passione comune per la letteratura. E grazie ad Ettore conosce Alberto, personaggio d’invenzione, con il quale inizia un grande amore. Poi Ettore scompare, il mostro della guerra si profila sempre più minaccioso e la vita cambia per tutti. Ida e Alberto non si rivedono più e il dopoguerra vede lei che lasciato il lavoro, è sposata a un bravo primario, “buon partito” proposto dal padre, serena ma non felice. Ormai sono gli anni Cinquanta, ma Ida a causa di una situazione che finisce per minare il suo matrimonio, ritorna spesso con la memoria a quegli anni Trenta, difficili ma nonostante tutto pieni di sogni e di speranze. Perciò inizia un vero e proprio viaggio sia intimo, alla ricerca di se stessa, sia geografico, cercando assurdamente Ettore, ma in realtà cercando Alberto e la sé stessa di allora. «La biblioteca dei fisici scomparsi» sarà presentato alla libreria Bonanzinga di Messina alle 18.30 del 5 settembre (e a Roma il 10 settembre in una libreria di via Panisperna). Dunque, ritrovare Majorana, è stata la prima idea di questo romanzo. Come hai camminato in questa storia? «Ho sempre pensato a Majorana, e so bene che c’è tanto sulla scomparsa, e se ne potrebbe scrivere ancora tanto, però il mio desiderio era riportare in vita sulla pagina questo genio. Cosa non facile, non solo perché ci si deve confrontare con la scomparsa, ma anche perché riportare in vita qualcuno che ha avuto veramente la sua storia è come entrare nella sua vita. E allora, ecco l’idea di mettere accanto a Majorana dei personaggi fittizi che mi dessero la libertà di ricostruire il momento senza toccare la vita di chi è realmente esistito». Ida è un personaggio rappresentativo della difficile condizione femminile, ma anche un esempio di riscatto personale... «Più scrivevo di lei, più mi ritrovavo nei panni di una donna degli anni Trenta. Sotto il regime era precluso alle donne insegnare materie umanistiche nei licei, la donna doveva essere “l’angelo del focolare”. E anche nel dopoguerra, nonostante la conquista del voto, non ci si poteva separare, abbandonare il tetto coniugale era un reato. Ida sin da ragazzina ha avuto uno spirito libero, durante la guerra ha guidato camion per soccorrere i feriti, e fa volontariato, ma a un certo punto soccombe all’essere considerata marginale in quanto donna. Anche lei in qualche modo scompare, perché la vita glielo impone. Ma poi quando il mondo le crolla addosso, esplode, e la disperazione riesce a liberarla da tutto quello che le stava un po’ stretto o che stava subendo». Via Panisperna è una strada che rimane nell’immaginario. Ti è capitato di passarci e di immaginare? «Sono passata più volte da via Panisperna e da storica ho provato delusione perché questi fisici sono ricordati con una piccolissima targa. Quindi ho pensato che anche loro, i “ragazzi di via Panisperna” che hanno cambiato la storia, siano “scomparsi”. Il titolo del romanzo non è casuale. Abbiamo le scuole intitolate a Fermi, a Majorana, però tanti altri, penso a un Rasetti, a un Pontecorvo, a un Segrè, sono caduti un po’ nell’ombra». Tornando alla condizione marginale delle donne, si arriva a storie di famiglia. «È inevitabile che io mi sia scontrata con una realtà difficile, oggi inimmaginabile. Benché ci sia ancora tanto da fare per le donne, tanto è stato fatto, non dobbiamo dimenticarlo. Nel mio libro la famiglia è molto importante, le famiglie hanno le loro colpe, la condizione della donna era determinata non soltanto dai padri, ma anche dalle madri che accettavano come “normali” cose che normali non erano. Infatti, la madre di Ida ripete sempre “bisogna solo farsene una ragione”». Anche Giulia, personaggio d’invenzione, e che nel romanzo è una delle fisiche che frequenta via Panisperna, alla fine fa solo la moglie. «Per le donne scienziate messe in ombra ho preso spunto dal libro di Gabriella Greison sulle donne della scienza, che dovevano entrare all’università non dall’entrata principale perché non era ammesso, o che fanno ricerca perché accanto c’era l’uomo, il marito. La moglie di Fermi, Laura Capon, attivista, scrittrice, scienziata, fece la moglie, una scelta che per le stesse donne di quel momento era normale. Per non parlare di Ida Noddack, che aveva ipotizzato la fissione nucleare prima di Fermi, ma era donna…». Non è facile impegnarsi con personaggi esistiti e tra questi anche con Sciascia, che hai fatto diventare un personaggio, ben tratteggiato nella postura, nei gesti, nella parola, nelle pause. «Sciascia l’ho letto tutto, lo rileggo, e da insegnante lo consiglio ai miei studenti. Come non volevo rubare dalla vita di Ettore, anche qui volevo che le idee, le ricostruzioni di Sciascia fossero sue e così proprio per lasciargliene la paternità, ho pensato che era il caso di metterlo dentro al romanzo come un personaggio. Nel segno del rispetto per un autore enorme».

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