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"Iddu", tra la mafia e Shakespeare

Il rapporto tra il padrino latitante Matteo Messina Denaro, «una specie di narciso patologico», e il politico Catello Palumbo (Toni Servillo)

Il padrino latitante e il politico corrotto. La coppia è di quelle che scoppia. E te lo aspetti anche se non conosci il finale. Due eroi eponimi di certe miserrime storie italiane. Due loschi figuri che fotografano perfettamente alcune situazioni balzate agli onori delle cronache nostrane più e più volte. Difatti, la sceneggiatura di «Iddu» si è liberamente ispirata a «Lettere a Svetonio» (2008), un libro che raccoglie gli scambi epistolari avvenuti nei primi anni Duemila tra il boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro e l’ex sindaco di Castelvetrano Antonino Vaccarino. Nella finzione cinematografica, il carteggio attraverso gli immancabili pizzini avviene tra Matteo, boss superlatitante, e Catello Palumbo. Quest’ultimo, uomo politico corrotto, appena uscito di galera, dove è finito per reati di mafia, inizia a collaborare con i servizi segreti per aiutare loro a scoprire il covo del padrino.

Presentato in Selezione Ufficiale all’81esima edizione della Mostra internazionale del Cinema di Venezia, la pellicola di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza rappresenta il capitolo finale della trilogia, iniziata con «Salvo» e proseguita con «Sicilian ghost story», e ha l’indiscutibile merito di raccontare con grande coraggio. Ché in questi casi, il rischio di beatificare la personificazione del male è sempre dietro l’angolo. E invece no. I villain del film rimangono tali. Cattivi e miseri. Mediocri e piccoli piccoli. Nelle loro azioni, nelle loro bassezze. Merito di una sceneggiatura ben confezionata, certo, ma merito anche delle due autentiche star che interpretano i protagonisti: Toni Servillo, nei panni di Catello, il politico corrotto che si fa nano e ballerino, acrobata manipolatore di menzogne e verità, per giocarsi le ultime carte e rientrare nel giro dopo che la galera gli ha fatto perdere ogni cosa. Ed Elio Germano, davvero immenso a dare volto, movenze, sembianze e perfetto accento siciliano a Matteo, il superlatitante. L’abbiamo incontrato…

Ti propongono la parte di Matteo, un superlatitante. Forse è un po’ come cimentarsi in un tema libero. E poi viene catturato! Com’è cambiata la tua interpretazione dopo che hai potuto vederlo, ascoltarlo?

«Sì, il film parte da fatti concreti, reali e purtroppo anche drammaticamente ridicoli. Dalla scoperta di questo strano linguaggio, di questo connubio tra ciò che è ridicolo e ciò che è tragico, e che appariva nel carteggio, per poi costruire una storia di finzione che apre a simboli che ci riguardano, un po’ come in tutte le opere cinematografiche. Il personaggio che mi veniva proposto partiva da qualcosa di concreto – cioè quelle poche notizie che si sapevano – per poi proseguire con la costruzione funzionale alla narrazione. Come avviene normalmente. Si possono fare infiniti film su una stessa persona, altrimenti non avrebbe senso ancora rifare Shakespeare o addirittura le tragedie greche a teatro. Perché ogni volta si possono interpretare da tanti punti di vista diversi».

Confondere i piani. Bene e Male. Buoni e cattivi. Forse un’autodifesa, un sentimento atavico e involontario. Così, ognuno giustifica sé stesso e i suoi crimini, anche i più efferati…

«Questo ragionamento di bene e male che si mischiano è una lezione. E invece tutti si schierano sempre dalla parte del bene, cioè i cattivi sono sempre gli altri. Siamo sempre pronti a riconoscere quello che non ci piace o non andrebbe fatto negli atti degli altri. È evidente sottolineare che noi non siamo buoni o cattivi, sono gli atti che compiamo che possono nuocere a qualcuno, provocare dolore e sofferenza, piacere e soddisfazione. Sono gli atti, non la nostra genetica che fanno di noi un buono o un cattivo. Secondo me, la consapevolezza del fatto che siamo tutti capaci di tutto e quindi delle cose magnifiche e delle cose più turpi, ci aiuterebbe a riconoscere il male e quindi a non farci commettere le cose turpi. Puntare il dito su alieni, mostri, nazisti, non c'ha aiutato a farli sparire».

“Iddu” ha dimostrato, se mai ce ne fosse stato ancora il bisogno, che il cinema può parlare, raccontare storie di criminali senza per questo crearne un mito. Certo, non è facile…

«La tragedia greca è piena di personaggi che commettono cose atroci ed è ovvio che la narrazione si nutra di eventi estremi. È più facile riconoscere il male quando si manifesta con un omicidio ovvero raccontare il male dell'assassino invece che le sue sfumature più “umane”, perché non sono quest’ultime a interessare. C'è un parossismo, un estremismo delle nostre pulsioni. Il fatto che si possa generare un’idolatria per i personaggi raccontati è un problema non dell'arte o del cinema ma della società. Viviamo in una società in cui sono diffusi modelli vincenti che spesso collimano con quelli che sono i modelli vincenti nella malavita, come il facile guadagno col minimo sforzo. Ecco che poi un adolescente può riconoscere un esempio da seguire in un boss».

Raccontaci come ti sei preparato per interpretare Matteo…

«All'inizio era la creazione di un fantasma, per cui ho cercato di ragionare innanzitutto sull'aspetto proprio “zoologico” di un animale recluso. Diciamo che la vita che faccio quando vado in tournée mi ha potuto avvicinare a questa idea di albergo perenne. Il nostro lavoro è sostituirci un po’ all’esperienza da interpretare: se devo fare il falegname cerco di lavorare il legno. Matteo rimanda un po’ a personaggi shakespeariani, ma forse non a caso li cito perché questa idea della fame di potere, dell'ambizione è un tema forte proprio della produzione shakespeariana. Lui è una specie di narciso patologico ossessionato dal fatto che nessuno è alla sua altezza. E con questa distanza che lo separa dal poter risolvere le cose, è convinto che vada tutto male e vive in una lamentela perenne. Il film è una storia che serpeggia tra imprenditoria pulita, imprenditoria sotterranea e istituzioni, quindi è la storia del nostro Paese, non è la storia del mafioso, è una giostra di persone, di esseri umani, di personaggi che cercano ciascuno il proprio profitto alle spese di qualcun altro».

Oggi Elio Germano e Antonio Piazza saranno a Milazzo e a Messina per dialogare col pubblico: appuntamento a Milazzo alle 18.30 al multisala The Screen Cinemas; a Messina alle 20.15 alla Multisala Apollo e alle 21.15 al The Screen Cinemas di Tremestieri. La pellicola uscirà nelle sale di tutta Italia giovedì ed è prodotta da Indigo Film con Rai Cinema.

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