
Davvero, non si sa da dove cominciare. È difficile raccontare la grande mostra che Palazzo Reale di Milano dedica a Felice Casorati (Novara, 1883 – Torino, 1963). Oltre cento opere in un percorso che esalta le differenze tra un periodo e l’altro di una lunga carriera e nello stesso tempo fa toccare con gli occhi una continuità di ispirazione, sensibilità, visionarietà ed espressione incredibilmente unica. Il pittore che voleva «dipingere i pensieri» (lo ha detto lui), è perfettamente riuscito nel suo intento, avendo anche la capacità di essere sempre sé stesso. La sua è una sorta di filosofia esistenziale, che non ha bisogno di parole: nei dipinti di Casorati si vede anche tutto quello che non si vede, o meglio quello che, al primo sguardo, non sembra che sia raffigurato.
Ha avuto la straordinaria capacità di andare sempre oltre la tela, di porre all’attenzione, tramite le sue famose atmosfere sospese, le malinconie riflessive, le sintonie con i periodi storici (si pensi alle due guerre mondiali attraversate dalla sua pittura), i confronti con la realtà (senza esserne mai succube). Tutto ispessito dalla sua frequentazione della musica (sarebbe dovuto divenire un pianista se non lo avesse fermato un esaurimento nervoso che, fortunatamente, lo dirottò alla pittura), frequentata ogni giorno in prima persona nel suo studio di Torino, dove convivevano pianoforte, spartiti, tele e pennelli, tanto che in alcune delle opere, le più “mistiche”, sembra di sentirla.
A fronte di cambiamenti stilistici (nell’uso del colore, nella definizione dei corpi e degli spazi e quindi delle prospettive, nella scelta di allegorie misteriose), Casorati ha mantenuto dritto il suo credo pittorico di base, quello che dà comune sostanza a tutte le sue opere. Promossa da Comune di Milano-Cultura e prodotta da Palazzo Reale e Marsilio Arte (che ha edito un catalogo che rimarrà fondamentale) in collaborazione con l’Archivio Casorati, la mostra, intitolata semplicemente «Casorati», è curata da Giorgina Bertolino, Fernando Mazzocca e Francesco Poli, tutti tra i maggiori studiosi dell’artista piemontese.
Grazie a un allestimento semplice, che dà più valore alle opere che risaltano su pareti per scelta mai affollate, l’esposizione si snoda divisa un po’ per cronologia un po’ per temi. Casorati non arriva dritto ai grandi capolavori come i ritratti di Anna Maria De Lisi o di Silvana Cenni (donne esistite solo nella sua fantasia), non per caso opere che ha tenuto sempre per sé, ma avanza e cresce in un cammino reso ancora più frastagliato dai continui trasferimenti del padre ufficiale: Novara, Sassari, Padova, Napoli, Verona fino all’approdo definitivo a Torino nel 1919 dopo la tragica e inaspettata morte del genitore.
Ispirato sempre dal classicismo (dall’amato Piero Della Francesca a Mantegna e Botticelli, e anche Antonello da Messina per i ritratti della famiglia Gualino), mai essendo banalmente neoclassico (l’aggettivo lo offendeva), si è contaminato di volta in volta con impressionismo, simbolismo, realismo magico (che gli era consono), ha avuto contatti evidenti e talvolta dichiarati con le opere di Klimt, Kandiskij, Cézanne, Gauguin; e (i curatori mi perdonino!) nelle ultime opere vedo anche connessioni, sempre a modo suo, con Bacon. Tutto senza mai spersonalizzarsi.
Amico di Piero Gobetti, che su di lui ha scritto pagine illuminanti, partecipò alle iniziative del “Gruppo del Novecento”, fondato da Margherita Sarfatti, l’intellettuale ebrea che fu amante di Mussolini e che era un’acuta critica d’arte, mai pensando, però, di aderire al gruppo del “ritorno all’ordine” in pittura; solitario nel modo di dipingere, ma aperto alla socialità (nel secondo dopoguerra fu anche sindaco di un piccolo comune piemontese), aprì una sua scuola, partecipò più volte alla Biennale di Venezia e fece mostre in varie parti del mondo.
Dato che non sapendo da dove cominciare, siamo arrivati fino a qui, si deve segnalare un’opera poco nota perché non veniva esposta da molto tempo: «Annunciazione», un olio su tavola del 1927. Lontano in questo caso dai richiami classici, Casorati, che qui inaugura un uso più pieno dei colori, dipinge due personaggi (uno in piedi di spalle, presumibilmente l’arcangelo, l’altro seduto, conseguentemente la Madonna), divisi dall’anta a specchio di un armadio, in una stanza in cui, come si evince dalle ombre, penetra il sole. In quello specchio stanno concentrati il mistero religioso e l’enigma pittorico, come sempre a soluzione aperta, che danno spazio all’intuito personale di chi guarda. Opera che i curatori hanno scelto per la copertina del catalogo e hanno avvicinato alla celebre «Conversazione platonica», in cui un uomo interamente vestito fino al cappello guarda una donna completamente nuda distesa su un letto, che insieme ci portano verso l’idea di una speculazione filosofica, una sorta di ricerca sul perché dell’armonia rappresentata dalla donna, che, a mio parere, è l’arte, nuda perché non ha bisogno di aggiungere nulla a se stessa.
C’è anche un’altra opera, che colpisce perché relativamente lontana dallo stile di Casorati: «Tiro al bersaglio», una tempera dipinta nel 1919 (lo stesso anno della diversissima «Anna Maria De Lisi»). Disposti su file sovrapposte e insolitamente colorate rispetto al periodo, con tonalità accese che spiccano sul fondo nero, sono dipinti i bersagli di un luna park: animali, pupazzi, guerrieri e altro. L’insieme ha un che di imprevedibilmente astratto, come fu notato a suo tempo, e credo che ci sia una “rivisitazione” personalissima di Kandinskij.
Tra le altre tantissime opere, di una mostra da godere più che da vedere, una segnalazione almeno deve andare ai bassorilievi in gesso, con cui Casorati decorò il teatrino privato di casa Gualino, i mecenati cui aveva dedicato i ritratti che mandò alla Biennale. Pregevoli diversivi di una carriera pittorica che ha attraversato, oltre alle tragedie personali, il periodo fascista, leggi razziali comprese, e tanti eventi bellici. Il pittore ha assorbito tutti i dolori e tutte le assurdità delle guerre e ha reagito con i suoi tempi sospesi, con la raffigurazione di sguardi, gesti e posizioni mai contemplativi, a volte forti di un dolore dignitoso e comunque pieno di interrogativi, ma più spesso con l’atteggiamento (Casorati talvolta è stato messo in parallelo con Poe e Pirandello) di chi guarda all’enigma delle azioni umane sapendo di non poter trovare la soluzione.
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