
Che fortuna, trovarsi assieme sulla pagina quei due siciliani: una narratrice vertiginosa e un genio della musica (ma è parziale, dire della musica: le sue sono piuttosto vie dei canti, percorsi alchemici e trasvolate e picchiate che calamitano tutte le arti). Elvira Seminara ci racconta Franco Battiato, il Maestro scomparso nel 2021 che pochi giorni fa avrebbe compiuto 80 anni, posto che esista un senso, nel prima e dopo con cui scandiamo le nostre storie terrene. E lo fa in una collana molto bella, «Passaggi di dogana», dell’editore Giulio Perrone, ovvero mappe tra le scritture e i luoghi, tra i personaggi e le loro arti e i luoghi, “guide” affrontate con la più grande biodiversità letteraria.
«In Sicilia con Franco Battiato» – che sarà presentato oggi (ore 18.30) a Catania, in un evento organizzato da Giulio Perrone e Taobuk, a Palazzo Scammacca del Murgo, con Antonio Mistretta e Mario Incudine e l’omaggio musicale di Giulio Pantalei, e domani (ore 18) a Messina, in un incontro «Posto d’autore» alla libreria Bonanzinga – denuncia fin dal sottotitolo («Cortili e galassie di un’anima errante») la sua natura di magnifico ossimoro, di necessaria chimera, dal momento che fare di Mastro Battiato da Jonia una guida, «lui così dist-topico», dalle geografie e geometrie esistenziali e artistiche imprendibili e multiformi, è una sfida impossibile.
Ma la catanese Elvira Seminara – la più sperimentale e ardimentosa delle autrici italiane (il suo ultimo, indiavolato «Diavoli di sabbia», Einaudi 2022, ne è manifesto) – è scrittrice avvezza a sfide e ossimori: la forma-romanzo le sta stretta, e lei la torce e avviluppa e dispiega e taglia e cuce (il bellissimo «Atlante degli abiti smessi», Einaudi 2015, fa scuola di sartorie letterarie) e riassembla e fa volare. Sicché questa guida di sperdimento, di felice spaesamento sulle tracce di quel «puer vulcanico, dispettoso e duttile come i fanciulli divini dell’Olimpo» – che fu amico molto amato della scrittrice, e infatti nel libro come valore aggiunto c’è tutta «La Cura» di ogni atto di amorosa devozione – è di rara felicità e bellezza.
Ogni capitolo porta il titolo d’una canzone di Battiato, ma l’ordine non è cronologico, semmai cronoillogico e sentimentale, una «mappa inconsulta» che procede – come faceva mastro Battiato – per evocazioni/associazioni/analogie, «sicilianizzando il mondo e universalizzando la Sicilia». Che per Battiato poteva essere in Persia o sul Tibet, sulla Prospettiva Nevski o ad Alexanderplatz, in qualsiasi altrove in cui risuonasse quel certo battito. Una sorta di «biogeografia» «aperta e irregolare, in movimento», proprio come era lui, senza un prima e un dopo ma in quell’«eterno presente circolare» in cui prendeva forma e suono l’arte di Battiato.
I punti (dis)cardinali ci sono tutti: l’Etna, il mare, il cielo, la stratigrafia d’una città mille volte rimescolata e risorta come Catania, la sua natura solare e ctonia assieme, la sua luce e il suo lutto. Battiato nasce nella perduta Jonia, abita Catania, si ferma «nell’oasi» di Milo, che non è un rifugio ma un affaccio sui mondi. Seminara ci racconta particolari preziosi, come l’amore del Maestro per i tappeti (dove ritrovava «autodisciplina, ingegno delle mani, cura e tempo rallentato», i suoi valori essenziali, gli stessi delle «signorine sarte» della sua infanzia), l’infantile golosità per i dolci. E disegna percorsi imprevedibili: la «mappa acustica di Battiato», il suo senso del suono («Penso, dunque suono») non come riproduzione ma produzione della vita, del suo flusso atomico, della sua vibrazione da inseguire nei luoghi, nelle voci («il suono delle parole liberato dal loro significato»: la voce che diventa litania, formula sacra, incantesimo).
E la Sicilia è profondamente con-sonante con questa ricerca di «shock, sussulti, frizioni e frazioni del suono», la Sicilia del movimento frenetico e immobile, del «pensiero sismico». Una paradossale ricerca del suono che conduca al silenzio, che non è vuoto e spegnimento (non «accidentale né occidentale») ma spazio conquistato e pieno e placato. C’è un’espressione bellissima che Elvira Seminara conia – e s’addolora di non aver fatto in tempo a porgerla all’amico Franco – : la «forza di cavità», uguale e contraria alla forza di gravità, l’attrazione del vuoto che non è buio e assenza ma luce e pienezza, e va attentamente coltivato. Eccola, la ricerca ininterrotta del Maestro.
Ma c’è anche una mappa del gusto (era arabo di gusto, Battiato, zuccherino e giulebboso e agrodolce, tra caponata e cassata), una degli odori (le rose di Milo «gli ispiravano stupore e gratitudine»; gli odori dell’infanzia «assorbita e sperimentata nella campagna dietro casa» evocavano quella Sicilia minima e remota dei cortili, del paese occhiuto eppure addormentato delle domeniche pomeriggio, «la domenica soporosa del mondo liminare, la vita attesa ed esanime dove fermenta ogni Sud dell’anima»).
Viene voglia di visitarli, i luoghi che non conosciamo e che questa storia non-storia lambisce, e se li conosciamo ci viene voglia di rivederli e assaporarli sub specie Battiati: il mercato di Catania e l’Etna velato di nebbia, la spiaggia di Santa Maria del Focallo a Ispica e il castello Ursino, la piazza di Aci Castello (una delle pagine più emozionanti in assoluto). Chiudiamo questa “guida” felici d’avere «depistato noi stessi» seguendo una, mille piste: è il battito di Battiato su cui provare a sintonizzarci, non per trovare ciò che cerchiamo ma ciò che, senza che lo sappiamo, ci urge.

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